IL SINAI
Riprendiamo la strada e, dopo una interminabile distesa desertica, ci infiliamo con un certo timore nel tunnel, lungo 1600 metri, che passa sotto il canale di Suez e siamo così nel Sinai. Osservo intorno alla zona del canale squallidi quartieri formati da centinaia di caseggiati popolari, tutti uguali, sciatti, privi di qualsiasi primaria manutenzione, costruiti in pieno deserto e attraversati da strade sterrate e polverose senza traccia di asfalto; pochissime le auto parcheggiate e assoluta la mancanza di verde. Finita la zona abitata ricomincia la monotona distesa di deserto che ci accompagna per un paio d'ore. Poi, finalmente, dopo il bivio con la strada di montagna che porta al monastero di S.Caterina, dalla quale quindi torneremo tra tre giorni, cominciano ad apparire le montagne del Sinai.
E così una serie continua di picchi rocciosi che spuntano dal deserto ci accompagna sino all'arrivo, inventando, grazie alla luce sempre più rossa e radente del sole, infinite forme e colori. Alle sette di sera, dopo una breve sosta a El-Tor per consentire all'autista di riposarsi e a noi di fare una passeggiata sino al mare, raggiungiamo Sharm el-Sheikh e ci sistemiamo in un discreto albergo con piscina.
La giornata successiva, giovedì, è interamente dedicata alla visita del Parco Nazionale marittimo di Ras Mohammed che occupa l'estrema punta meridionale del Sinai.
Entriamo nel Parco con il nostro Toyota e in un abbagliante paesaggio desertico che si protende nel mar Rosso. cominciamo a girare per le sue stradine, prima asfaltate, poi sterrate, poi sempre più sconnesse tanto da farci temere per la resistenza del pulmino, sino ad arrivare alla Main Beach. E' una bella insenatura sabbiosa circondata da picchi rocciosi, con una attrezzatura limitata ad una piccola tettoia di canne sotto la quale ci mettiamo in costume. Un centinaio di metri di acqua bassa e poi, improvvisamente, uno strapiombo di 70 metri costituito dalla barriera corallina. Qui lo snorkelling è d'obbligo e anche io, messo da parte qualsiasi timore, mi godo la visione subacquea della barriera con le sue decine di costruzioni di corallo popolate da vivaci pesci colorati. Getto un'occhiata verso il fondo del mare sotto a me e vedo un incredibile azzurro senza fine, intenso e luminoso, animato da migliaia di pesci. Estasiato e turbato nello stesso tempo, resto in acqua solo per pochi minuti, anche se poi mi pentirò di non esserci stato più a lungo. Trascorriamo ancora un'oretta sulla spiaggia esplorando le rocce che la circondano e salendo su un picco altissimo dal quale di gode uno stupendo panorama sulle coste del parco e sul mar Rosso. Proprio ai piedi di questo picco, in una piccola insenatura sassosa, ci godiamo alcuni grossi pesci colorati che nuotano tranquillamente vicino alla riva nell'acqua bassa, facendosi fotografare. Tranquilli ma non troppo perché un bellissimo pesce azzurro, forse perché disturbato, riesce addirittura a morsicare un piede a Corrado. Verso la fine della mattinata ci spostiamo con il pulmino percorrendo ancora stradine impossibili alla ricerca di altri luoghi interessanti. Evitiamo una spiaggia perché troppo affollata e andiamo fino al canale delle Mangrovie. Qui siamo proprio sulla punta estrema del Sinai, su una bianchissima landa desolata che un mare celeste in fase di bassa marea lascia parzialmente scoperta e dove un piccolo canale, sul quale appunto crescono le piante di mangrovie, si getta nel mar Rosso. Sullo sfondo, dalla parte opposta del mare, si vedono catene di montagne grigie e celesti che si perdono nel cielo. Prima di lasciare definitivamente il Parco riproviamo l'ebbrezza dello snorkelling sulla barriera corallina su un altro tratto di costa rocciosa. Infine, ripassando per Sharm el-Sheikh, proseguiamo verso Dahab risalendo la costa orientale del Sinai che si affaccia sul golfo di Aqaba. Arriviamo a Dahab verso le 22.30 e qui, accolti da un gradito bicchiere di carcadè ghiacciato, ci sistemiamo in un albergo con camere in piccoli cottages vicino alla spiaggia. Cena in albergo e inutile accordo con guida locale per effettuare, al mattino successivo, un tour fuori programma in Land Rover sino al Canyon Colorato. Costo concordato, dopo le solite estenuanti trattative di Adriana, 10 $ a persona. Inutile perché al mattino, quando io con gli altri sei partecipanti ci ritroviamo pronti per la gita, Adriana ci dice che la gita non si può fare "per mancanza di mezzi". E' evidente che si tratta di una scusa: infatti ci sono pochissimi turisti in zona ed è impensabile che non ci sia disponibilità di un fuori strada per noi; riteniamo piuttosto che sia stato il titolare della nostra agenzia, che in primo momento ci aveva offerto la gita ad un prezzo superiore, ad avere imposto alla guida locale di non effettuare il giro al prezzo concordato con noi. E così anche noi, piuttosto delusi, ci dobbiamo accontentare di trascorrere la mattinata in pieno relax sulla spiaggia di Dahab, osservando in lontananza, al di là del mare, i contorni offuscati della costa della penisola Arabica.
Poco dopo mezzogiorno lasciamo la spiaggia e, prima di intraprendere il trasferimento per il Monastero di S.Caterina, ci fermiamo per uno spuntino a Assalah. Si tratta del nucleo originario di Dahab, un tempo famoso come ritrovo di hippies e oggi, con i suoi camp – campi lungo la strada centrale occupati da filari di minicamerette – luogo di incontro per viaggiatori squattrinati. Qui mangiamo in un locale incredibilmente sprovvisto (!!) di bicchieri e sorseggiamo caffè e tè seduti in riva al mare, mentre alcune bambine del posto ci fanno dei simpatici braccialettini colorati di cotone.
Nel primo pomeriggio lasciamo il mar Rosso, risaliamo ancora per un po' la costa del golfo di Aqaba e infine deviamo verso l'interno del Sinai con destinazione monastero di S.Caterina. Percorrendo una lunga e dritta strada asfaltata ci troviamo immersi in un magico paesaggio fatto di decine di picchi rocciosi, ammorbiditi alla base da immacolate dune di sabbia e circondati da lande desertiche. Lo scenario meriterebbe una serie di continue soste, ma non ho il coraggio di chiedere continuamente all'autista di fermarsi. Lo facciamo una volta in un ampia radura per consentire a Eleonara di raccogliere un po' di sabbia per ricordo del Sinai e poi nei pressi di una tenda di nomadi addossata proprio alla base di una altissima parete rocciosa.
Arriviamo al monastero quando è ancora pieno giorno e qui ci vengono assegnate due stanze con il pavimento letteralmente coperto di lettini: sette in quella per gli uomini e otto in quella per le donne. Ci prepariamo il letto e poi ci sparpagliamo per le stradine del complesso religioso, curiosi di vedere che cosa ci aspetta. Il Monastero, risalente al VI secolo e costruito per volere dell'imperatore Giustiniano, si trova a poco più di 1500 metri di altezza e noi domani mattina, prima dell'alba, dovremo arrivare sulla vetta del Jebel el-Musa o monte Sinai a 2285 metri: lassù, secondo quanto narrato dalla Bibbia, Mosè ricevette da Dio le tavole dei Dieci comandamenti.
In attesa della cena, fissata per le 20.30, e anche per far riposare i muscoli in previsione della fatica notturna, noi uomini ci ritroviamo tutti quanti sdraiati sui nostri lettini, al buio completo; restiamo una decina di minuti in perfetto rilassamento….finché il silenzio non viene interrotto da bruschi rumori di scarponi che si avvicinano e si fermano proprio davanti alla porta della nostra camera e da secche voci gutturali che sembrano impartire incomprensibili ordini. Resterà allora memorabile la spontanea battuta di Franco che, spezzando il silenzio della stanza, dice con voce bassa e circospetta: "Boni, ragazzi! Ci sono i tedeschi!". Per un istante ci sentiamo come proiettati in piena seconda guerra mondiale nella parte di partigiani ricercati dai soldati nazisti e poi scoppiamo tutti e sette in una fragorosa e interminabile risata. Poi scopriremo che si trattava di motociclisti israeliani appena scesi dalle loro moto, che stavano prendendo possesso di una camera accanto alla nostra.
Piacevole cena in foresteria dove, di fronte ad un invitante vassoio di pomodorini e cetrioli freschi, mandiamo a farsi benedire la precauzione, finora rispettata, di non mangiare verdure crude per non rischiare problemi intestinali e addirittura beviamo, forse perché fiduciosi nella santità del luogo, bottiglie di pura acqua di sorgente. Completano la cena degli ottimi kebaba e bicchiere di tè. Inutile la richiesta di Adriana di poter gustare uno sgroppino, tipico gelato veneto alla vodka e al prosecco.
Poi tutti a letto presto: sveglia alle 2.30!
LA SALITA AL MONTE SINAI
Dopo poco meno di quattro ore di sonno, accompagnate dal comprensibile concerto di rumori prodotti da sette uomini che si trovano a dormire insieme in una piccola stanza, siamo in piedi e ci ritroviamo come automi, zaino in spalla e torcia elettrica in mano, sul sentiero che conduce alla vetta insieme a qualche centinaio di turisti e pellegrini. Alzando lo sguardo è' suggestivo osservare la lunga processione di puntini luminosi che sembra indicare il percorso lungo i fianchi della montagna. Ognuno cerca il proprio passo e il gruppo si frantuma. Corrado, con il suo passo da scalatore, parte subito in quarta e non lo vediamo più. Poi seguono, alla spicciolata, tutti gli altri. Io, insieme a Grazia, Eleonora e lo stoico Mimmi che ancora soffre di una ferita proprio sotto al piede procuratasi durante un bagno alla barriera corallina, formiamo il gruppo di coda. Saliamo, continuamente avvicinati da beduini che offrono con insistenza e speranza i servigi del loro cammello per salire sino in cima. "Camelo? Vuoi camelo? Camelo non caro. Ancora tre ore per la cima." E così via. Vado avanti senza curarmi di loro con il mio passo tranquillo e cadenzato, illuminando con la torcia la strada per evitare di inciampare in qualche pietra. Mi fermo e guardo il cielo, senza luna, ma incredibilmente pieno di stelle: riconosco la Via Lattea, la costellazione di Orione e la luminosissima Sirio. Poi guardo la processione dei puntini luminosi delle torce: non se ne vede la fine. Grazia comincia a dare segni di stanchezza ed è preoccupata soprattutto per il cuore che le sta battendo troppo forte. La convinco a salire su un cammello. Fissiamo la tariffa in 10 $ e in un attimo la vedo sparire nel buio mentre mi saluta dall'alto del cammello. Per avere accettato deve essere stata proprio stanca e affaticata. Io proseguo con il solito passo con Eleonora e Mimmi e dopo poco riprendiamo Valentina e Stefania che si uniscono a noi. Comincio ad avere caldo. Mi fermo per togliermi un maglione e sento la giacca a vento completamente bagnata di sudore. Dopo un'ora di salita senza soste, superiamo alcuni componenti del gruppo fermi ad un posto di ristoro. Continuiamo a salire senza sapere quanto ancora manca all'arrivo. La processione dei puntini luminosi è ormai sparita dietro il crinale della montagna. Si vedono alcune cime che, ancora scure, si alzano nel cielo: quale sarà la nostra? Cerco di fare coraggio a Mimmi dicendo che stiamo per arrivare. Incontriamo una nuova baracchetta e faccio la proposta – accettata con gioia da tutti - di fare una sosta. Una tavoletta di cioccolato e un tè bollente ci rimette tutti quanti a posto e possiamo riprendere con nuova lena la salita. Dopo poco meno di un paio d'ore dalla partenza, arriviamo ai piedi della montagna dove inizia una ripida salita di oltre 700 approssimativi scalini ricavati nelle parete rocciosa. Qui finisce la corsa dei cammelli e qui anche Grazia sarà scesa per proseguire a piedi. Mi guardo intorno pensando di trovarla seduta ad aspettarci e invece niente. Speriamo bene! Comunque, fiduciosi che la meta sia ormai vicina (a quel punto non sapevamo degli oltre 700 scalini che ancora ci aspettavano), ci inerpichiamo per la salita ripida concedendoci anche il lusso di superare alcune persone. Poco prima di arrivare in vetta Eleonora e Mimmi perdono i contatti. Finalmente, un po' prima delle sei, io, Valentina e Stefania arriviamo in cima. Ormai non è più buio completo. Ritroviamo Grazia che, piano piano, era comunque riuscita a superare l'ultima e più ripida salita. Il cielo ha già cominciato a schiarire. In cima fa freddo e tira un vento fastidioso. Ci sono diverse decine di persone, tutte più o meno stanche, infreddolite, addormentate ma tutte in attesa del miracolo giornaliero del sole. Appoggio su un muretto la mia Canon e guardo lontano, verso le montagne che sotto di noi ci circondano a 360°. Anche se non siamo proprio sulla vetta più alta del Sinai (c'è un'altra montagna, il Jebel S.Caterina, che arriva a 2682 metri) ci sentiamo di dominare completamente il paesaggio.
Qui Mosè vide e parlò con Dio, qui ricevette le tavole dei Dieci comandamenti; c'è solo una modesta chiesetta in memoria del fatto biblico, ma in compenso c'è tanta natura! Crederci o no non ha grande importanza: la suggestione è comunque tanta. Purtroppo il punto dell'orizzonte da dove il sole nasce, spuntando dietro una estesa catena di montagne che vediamo di fronte a noi in lontananza, è coperto da una leggera foschia e questo non ci consente di godere di una alba limpida. Vediamo il sole alzarsi sopra le montagne quando è ancora nascosto da una inopportuna striscia di foschia; poi, quando finalmente riesce a liberarsi delle nubi, è ormai troppo tardi: tutto intorno è già giorno; è mancato il magico, repentino passaggio dalla notte al giorno.
Finito lo spettacolo della levata del sole, iniziamo la discesa che in circa un'ora e mezza ci riporterà al monastero. Qualcuno scende per la strada più veloce fatta di 3750 scalini; noi rifacciamo la stessa strada del mattino, ma ora, in piena luce, possiamo goderci a cuore aperto la fantastica visione a 360 gradi di decine e decine di cime rocciose, plasticamente illuminate dai raggi radenti del sole, che sembrano uscire con prepotenza dal buio della terra .
Ci ritroviamo tutti quanti alla foresteria del monastero per una necessaria colazione e poi visitiamo, insieme a centinaia di turisti arrivati nel frattempo con grossi pullman, i luoghi del complesso religioso aperti al pubblico. La chiesa cristiano-ortodossa, carica di oggetti e di immagini a fondo dorato, costruita nel VI secolo e profondamente modificata nel corso dei secoli successivi, tranne che nella sua splendida e ancora originale porta di ingresso, in legno di cedro del libano a due ante; una interessante raccolta di icone dal VI al XVIII secolo con immagini in stile bizantino primitivo, greco, siriaco e copto; il biblico roveto ardente; il pozzo di S.Stefano e infine l'ossario ove sono lugubremente custodite le ossa e i teschi dei monaci morti.