ASSUAN

Dopo una doccia e un riposino usciamo alla scoperta di Assuan, la città più a sud dell'Egitto e frontiera di passaggio per la regione della Nubia. E' una città dove ci orientiamo subito perché in pratica è distesa lungo la riva orientale del Nilo ed è interamente percorsa da tre lunghe strada parallele: prima la Corniche, la strada principale asfaltata e con un intenso traffico che costeggia il Nilo; quindi, pochi metri verso l'interno, una strada più stretta incredibilmente sterrata – siamo nel pieno centro di Assuan! - e occupata da due file interminabili di negozi e venditori ambulanti che costituiscono lo splendido mercato all'aperto della città e infine, sempre verso l'interno, una terza strada ancora fiancheggiata da negozi che in pratica delimita il centro di Assuan. Richiamati come al solito dall'irresistibile fascino dei suq orientali – io per le fotografie e Grazia per gli acquisti - ci ritroviamo inevitabilmente a passeggiare lungo la strada centrale. Anche se ormai, dopo la Birmania, la Thailandia e il Marocco, dovremmo essere abbastanza sazi di mercati, ogni volta che ci ritroviamo in mezzo a questi venditori assillanti, a queste botteghe piene di attraenti oggetti di artigianato locale, a mucchi di frutta e ortaggi sparsi per la terra, a carretti pieni di tè, carcadè, grani di pepe rosso, verde e nero e di polvere di indaco incredibilmente azzurra, a strade affollate di donne, uomini e bambini in costume locale, a uomini seduti sugli scalini o in qualche ritrovo a fumare il narghilé o a giocare a domino, ci facciamo prendere dalla curiosità e dall'entusiasmo e non ci stancheremmo mai di guardare, osservare, scoprire, domandare, toccare, scattare e…..comprare. Camminando tra la polvere e non poca sporcizia percorriamo buona parte della lunga strada centrale e poi arriviamo anche a quella più esterna dalla quale vediamo, su una leggera altura in mezzo ad un grande spazio, una bella moschea di recente costruzione fiancheggiata da due altissimi ed esili minareti.

Chiudiamo la giornata con una piacevole cenetta in un ristorante galleggiante sul Nilo e una passeggiata lungo la Corniche.

Sabato 13 marzo, giornata senza spostamenti in pulmino dedicata alla visita dell'altra sponda del Nilo con le sue affascinanti collinette desertiche e di alcuni dei vari isolotti che sporgono dalle acque del Nilo nel tratto che da Assuan, per oltre 17 km verso sud, arriva sino alla grande diga.

Mi sveglio di buon mattino, giusto in tempo per fotografare il Nilo appena illuminato dal primo sole, e vado in giro per Assuan. Qui, evidenziati dallo scarso movimento del mattino, osservo con una certa angoscia i diversi posti di blocco dei militari, armati di mitragliatrici, che stazionano 24 ore su 24 nei punti nevralgici della città; angoscia comunque ridotta dai bambini e soprattutto dalle tante ragazze che, elegantemente vestite di blu con scialle bianco in testa, se ne vanno tranquillamente a scuola come in qualsiasi altra parte del mondo civile. Alla riva del Nilo ci sono attraccate diverse navi da crociera e i turisti cominciano a scendere a terra sparpagliandosi per le strade di Assuan.

Subito dopo la prima colazione andiamo nei pressi della vecchia diga dove noleggiamo un barcone per il traghetto fino alla isola Agilika. Su questo isolotto è stato ricostruito negli anni 70, dopo averlo smontato pezzo per pezzo, l'ampio complesso architettonico dell'isola di File sommersa a seguito della costruzione della nuova diga di Assuan. Il tempio di File, con alcune parti risalenti al IV secolo a.C., è costituito soprattutto da strutture dell'epoca tolemaica ed è dedicato al culto di Iside, di Osiride e di Horus. Ricca di fascino risulta comunque la sua ambientazione, tra palme e oleandri, su questo isolotto lambito dal Nilo. Dopo la visita torniamo ad Assuan passando per la strada che attraversa il fiume proprio sopra la grande diga costruita dal 1961 al 70 con lo scopo di un migliore sfruttamento delle acque del grande fiume, giustamente chiamato "madre dell'Egitto". Ad Assuan ci imbarchiamo finalmente sulla feluca noleggiata da Adriana che ci accompagnerà per il resto della giornata sino a tarda sera. Iniziamo con la visita dell'orto botanico che occupa interamente l'isola di Kitchener: vialetti fiancheggiati da altissime palme roystonia regia caratterizzate da un fusto dritto, incredibilmente bianco e liscio; giganteschi ficus varello ; belli esemplari di bombax malabarjcum l'albero dai fiori rossi conosciuto in Birmania; un curioso albero tropicale con frutti identici a lunghi salami e, per finire, alberi simili al nostro salice che sporgono i loro rami pieni di bianchi ibis sulle acque del Nilo.

Da questa isola passiamo all'altra sponda del fiume, dove, con una discreta camminata in mezzo al deserto e sotto un sole abbagliante, arriviamo sino ai resti del Monastero di San Simone. Posso finalmente accertarmi della assoluta diversità delle due sponde del Nilo: di là Assuan, con i suoi palazzi, le sue strade, i suoi alberi e i suoi campi coltivati, di qua, subito, incredibile, il deserto. Il monastero risale al VI secolo d.C. ed è stata una roccaforte cristiana sino alla definitiva conquista araba del XIV secolo che ne uccise e cacciò tutti i monaci che vi vivevano. Costruito come una fortezza, è circondato da una cinta muraria che conteneva una chiesa, magazzini, dormitori, una cucina e così via. Oggi è quasi diroccato e un guardiano ci fa vedere i resti della chiesa cristiana con le tracce di un affresco raffigurante gli apostoli intorno al tavolo dell'ultima cena. Affascinato dallo stupendo contrasto di colore tra il giallo ocra delle mura ancora in piedi e l'intenso azzurro del cielo, mi aggiro tra le rovine alla ricerca di qualche bella inquadratura. Poi discendendo verso la nostra feluca passiamo vicino al mausoleo dell'Aga Khan costruito proprio su questa riva di fronte ad Assuan. Di nuovo una piacevole, silenziosa, scivolata in feluca sino all'isola Elefantina, così chiamata o per gli elefanti che nell'antichità passavano con le carovane sulle sponde del fiume oppure per i grossi macigni di granito grigio che, simili proprio ad un branco di elefanti che fa il bagno, si vedono intorno all'isola. Sull'isola visitiamo un pittoresco, ma assolutamente vero, villaggio nubiano fatto da modeste casette di argilla, divise da un intrico di vicoletti. Qui i soliti bambini ci assaltano per chiedere bon bon, penne, cappellini mentre le donne, intabarrate nei loro ampi vestiti, se ne stanno sedute sulle soglie delle case e ci fanno, con il dito indice ripiegato ad amo, il tipico gesto di richiesta di una lira o di un bascisc per l'ennesima foto rubata. Presi dagli scatti di queste immagini, Stefania, Corrado ed io finiamo con il perderci e solo dopo qualche vano tentativo che ci riportava al punto di partenza, riusciamo a ritrovare il punto della riva ove ormai ci stava aspettando il resto del gruppo già da tempo a bordo della feluca.

Di nuovo in navigazione sul Nilo mentre il sole sta per tramontare. Scendiamo su una nuova isoletta dove, districandosi tra i soliti assalti di donne e bambini che vendono collanine, ci dirigiamo verso l'interno. Abbiamo prenotato la cena in un villaggio nubiano. Ci accompagnano in una casetta dove, in una stanza appena sufficiente a contenere una grande tavola già apparecchiata, ceniamo, seduti su scomodi letti. Chi ha bisogno del gabinetto viene gentilmente accompagnato fuori.. in fondo alla strada, al termine del paese! Viva l'aria aperta! Mangiamo comunque con grande appetito patate fritte, fagioli e patate in umido e pollo arrosto, il tutto cucinato come se fossimo a casa nostra: resteremo con il dubbio se hanno cucinato così per noi oppure se veramente quella è la cucina tipica nubiana. Al termine della cena, insieme a ennesime proposte di vendita di collanine e altri oggettini, ci viene offerto un buon bicchiere di carcadé che degustiamo seduti in un piccolo ambiente all'aperto sul quale si affacciano le varie stanze della casa.

Quando lasciamo la casa è buio pesto e il villaggio è ormai deserto. Di nuovo feluca per il ritorno ad Assuan dove, prima di andare a letto, ci beviamo una birra su un chiattone galleggiante sul Nilo, mentre un Franco in piena forma ci fa scompisciare dalle risate con una serie ininterrotta di battute su Mimmi, ribattezzato "gioiello del Nilo" e Stefano, ribattezzato "Mr.Bean".

Il giorno successivo, domenica, sveglia di buon'ora, brutta sorpresa di trovare il pulmino con una gomma a terra, sostituzione della ruota, corsa all'aeroporto per prendere l'aereo per Abu Simbel, attesa di oltre un'ora e finalmente, con un volo di una ventina di minuti, atterriamo nei pressi dei mitici templi della Nubia. Di nuovo ci troviamo immersi in uno scenario fantastico interamente desertico bagnato da un immenso lago artificiale, il lago Nasser, formatosi con la costruzione della grande diga di Assuan. A un centinaio di metri dalla riva del lago si elevano sulla piana desertica due picchi di roccia arenaria, ognuno dei quali contiene, come per incanto, una grandiosa facciata di tempio preceduta da gigantesche statue scolpite nella montagna stessa. Lo spettacolo è di quelli da mozzare il fiato. Quattro figure alte 20 metri del faraone Ramses II sono a guardia della facciata del Grande tempio, fatto costruire appunto da Ramses II tra il 1290 e il 1224 a.C. in onore degli dei Ra, Amon e Ptah. Unite ai piedi e alle gambe di queste straordinarie figure ci sono alcune statue molto più piccole che raffigurano la madre, la moglie Nefertari e alcuni figli del faraone stesso. Lo sguardo dei quattro Ramses II fissa lontano, verso il deserto e il lago Nasser. Con una punta di soggezione passo in mezzo alle grandi statue ed entro nel tempio: una grande sala sorretta da otto colonne con altre colossali statue di Ramses , interamente ricoperta da incisioni raffiguranti le gesta del faraone impegnato in battaglia, immette in altre piccole camere tutte istoriate. In fondo, nella camera più interna siedono, addossate alla parete, le quattro divinità del tempio – Ra, Amon, Ptah e lo stesso Ramses II – posizionate in maniera tale che all'alba dell'equinozio di primavera e di autunno il sole le illumini perfettamente, con la sola esclusione di Ptah, in quanto dio delle tenebre. Senza nulla togliere alla bellezza delle incisioni e delle statue, mi sento veramente sconcertato al pensiero dell'impresa umana, risalente a ben 3200 anni fa, di scavare nella roccia un ambiente largo 38 metri, profondo 63 e alto più di 10. Di nuovo, dopo le piramidi, mi trovo di fronte ad un mistero che difficilmente, nonostante tanti libri letti e da leggere, qualcuno riuscirà a farmi capire. Al confronto, anche l'impresa del 1964 che ha provveduto a "sbriciolare" i due templi in più di 2000 blocchi di arenaria per ricostruirli identici, sempre all'interno di due montagne appositamente innalzate, fuori delle acque del lago, mi sembra una cosa da niente. Uscendo dal tempio è interessante comunque vedere l'interno della montagna ricostruita a somiglianza di quella originale ormai sommersa dalle acque del lago, che poggia sulla volta in cemento armato che, a sua volta, ricopre il tempio vero e proprio. Poco distante c'è l'altro tempio più piccolo dedicato al dio Hathor e a Nefertiti, anche questo con una maestosa facciata dove sei grandi statue scolpite nella roccia alte dieci metri, raffigurano Ramses per quattro volte e la moglie Nefertiti per due volte. Lasciamo Abu Simbel e con volo regolare, sorpres dal commento di Adriana al microfono dalla cabina dei piloti mentre si sorvola il sito dei templi, torniamo ad Assuan.

Pomeriggio interamente dedicato ad acquisti nei suq di Assuan con cena finale sul Nilo e fumata collettiva di narghilé.

VERSO IL MAR ROSSO

Lunedì mattina alle 7.30 lasciamo Assuan per risalire il corso del Nilo sino a Qena da dove prenderemo la strada verso il mar Rosso. Ancora una volta osservo in silenzio il tipico paesaggio egiziano fatto di verdi campi coltivati intorno alle due sponde del Nilo, nei quali tante piccole figurine di uomini e donne stanno lavorando aiutati dagli instancabili asinelli. Non mi stanco degli ormai consueti piccoli paesetti di fango, qualche volta anche intonacati a calce o colorati a tinte vivaci, animati dalla presenza di uomini in galabiyya bianca o grigia che, in piedi o seduti, a lavorare o a fumare, da soli o in gruppo, si armonizzano così bene con l'ambiente intorno, da sollecitarmi una serie continua di scatti fotografici destinati purtroppo a restare solo immaginati. Così come per le tante deliziose figurine di donne vestite completamente di nero che, nello svolgimento dei loro lavori domestici, disegnano magnifiche silhouette sul solito sfondo ocra. E poi cimiteri musulmani fatti di semplici sassi infilati nel terreno o al più da nude e rustiche lastre di pietra che coprono le tombe, tutto sempre assolutamente anonimo senza la minima presenza di scritte o fiori. Mi viene da pensare come tutto ciò che mi passa davanti sia incredibilmente identico, se non fosse per qualche cadente palo della luce o per qualche comunque rara antenna televisiva, a quello che altri viaggiatori avranno veduto due o trecento anni fa e anche prima. Qui tutto continua, sempre, senza mutamenti; la vita scorre uguale, giorno dopo giorno, anno dopo anno, a prescindere da cellulari o personal computer, da lavastoviglie elettroniche o da telecamere digitali, da Viagra o da Prozac. Chi è nel giusto?

Facciamo una sosta a Luxor da dove ripartiamo nel primo pomeriggio, in carovana scortata dalla polizia.

A Qena, dopo una settimana trascorsa sulle sue rive, lasciamo il Nilo e deviamo verso il mar Rosso.

Ora il paesaggio cambia profondamente; la strada passa proprio attraverso un deserto sassoso, appena punteggiato qua e là da piccoli cespugli di tamerici e da altri ciuffi d'erba spinosa incredibilmente mangiata da alcuni dromedari al pascolo. Poi, dopo una breve sosta ad un punto di ristoro lungo la strada, cominciamo a vedere, prima in lontananza e poi sempre più vicina, una serie infinita di montagne rocciose colorate di rosso. La strada, dritta e asfaltata, è comoda ed il traffico è limitato a qualche camion che va verso il Nilo. Passiamo da Port Safaga sul mar Rosso e risaliamo la costa verso nord per una cinquantina di chilometri sino a Hurghada, mentre il sole si nasconde e riappare in un continuo gioco di luci dietro la catena delle montagne, rosse e affascinanti più che mai, che ci fiancheggia alla nostra sinistra. Quando ormai è buio arriviamo a Hurghada, dove, pur non credendo ai nostri occhi, scarichiamo tutte le valigie, sempre più ingombranti e pesanti, all'ingresso di un albergo favoloso: l'illusione dura poco perché alla reception ci dicono che non esiste nessuna prenotazione a nome nostro e che qualche chilometro più a nord, in località Sigala, c'è un altro hotel con lo stesso nome. Poco male; si ricarica tutto e, tra grosse risate, ci dirigiamo dove ci stanno aspettando.

Hurghada era fino a pochi anni fa un semplice villaggio di pescatori; ora, grazie esclusivamente ai meravigliosi banchi di corallo e alle sue acque cristalline. è diventata una striscia ininterrotta di alberghi, residence, club, lunga una ventina di chilometri, che si estende lungo la costa e comprende i centri di Al-Ghardaka, Sigala e New Hurghada.

Anonima cena in albergo, breve passeggiata nel centro di Sigala, costituito peraltro da una squallida strada fiancheggiata da negozi e locali senza colore, e poi a letto sperando che domani mattina il vento si sia calmato e il mare sia liscio.

Martedì 16 marzo sveglia e occhiata fuori dalla finestra: tira vento e il pensiero corre subito al mare che immagino mosso. Tutti, tranne Franco che è un po' nervoso o stanco, decidiamo ugualmente di partecipare alla prevista gita in barca alla barriera corallina. Andiamo al porticciolo e qui, armati di maschera e pinne, saliamo su un grosso motoscafo. Io, dapprima un po' titubante, piano piano mi rendo conto che l'imbarcazione è abbastanza grossa da consentirci una navigazione tranquilla senza problemi di mal di mare e così, dopo pochi minuti, svanisce qualsiasi sensazione di timore e cominciamo a goderci una nuova giornata straordinaria Il saluto iniziale ce lo dà un delfino: appena entrati in mare aperto, si esibisce in due o tre salti proprio a fianco della nostra imbarcazione. Dopo poco più di un'ora di tranquilla navigazione il motoscafo getta l'ancora nei pressi di un isolotto: il mare sotto a noi è straordinario e tanti, nonostante l'acqua fredda, si fanno coraggio e si buttano con maschere e pinne. Anche Grazia e Valentina non sono da meno e solo io, dopo essermi infilato maschera e pinne, non trovo il coraggio di buttarmi. Pazienza! Dovrò contentarmi di immaginare lo spettacolo dei coralli e dei pesci tropicali attraverso i racconti degli altri. Valentina è entusiasta per aver veduto e fotografato una murena: purtroppo l'entusiasmo le fa perdere il controllo della macchina fotografica che le scivola dal braccio e va irrimediabilmente a fondo. Grazia vedendomi rimasto sul ponte del motoscafo cerca di convincermi a scendere in acqua, ma presto le prende freddo e torna a bordo. Eleonora e Dimitri invece faranno vedere a tutti di avere trovato il loro elemento naturale e si riveleranno come i migliori nuotatori del gruppo. Io, insieme a Debora e Matilde nemiche dell'acqua, mi consolo mangiando due porzioni di pesce fritto offertoci dall'equipaggio del motoscafo. Risaliti tutti a bordo, il motoscafo si sposta e approda vicino ad un isolotto con spiaggia: qui scendiamo tutti a terra e ci concediamo un'oretta di sole sdraiati sulla sabbia o chini alla ricerca di coralli e conchiglie. Poi ripartiamo concedendoci il lusso di far salire a bordo quattro turisti pisani che, arrivati con un altro motoscafo, erano stati dimenticati lì, sulla spiaggia: la loro imbarcazione era già partita e la nostra era ormai l'ultima a salpare. Poveri pisani, erano incazzati neri e completamente bagnati. Appena a bordo si qualificano subito come pisani; " non poteva essere altrimenti" , penso e mi scappa detto "io li avrei lasciati sull'isola per tutta la notte". "Sempre buoni i cugini livornesi!" la pronta e giusta replica del pisano. Facciamo una nuova sosta vicino ad un'altra barriera corallina e poi ritorniamo verso riva, per niente impressionati dal mare più agitato della mattina.

Ritorno in albergo con sosta ad una pizzeria italiana per contentare chi di noi cominciava ad avvertire l'irresistibile richiamo della cucina di casa. Inevitabile delusione quando ci vediamo portare una margherita…..senza pomodoro: ma come si fa?

Riposo, doccia e corsa in taxi fino al centro di Hurghada dove ceniamo allo Scruples: bel piatto di pesce con piccola aragosta e gamberoni. Anche Hurghada, come Sigala, con le sue file di negozi nati solo per il turismo, aperti su anonime strade dritte fiancheggiate da approssimativi edifici in cemento armato, non finiti e spesso addirittura con i tondini di ferro che spuntano dai piloni per eventuali future aggiunte di piani, non fa che confermarmi la sensazione di squallore vacanziero della peggiore qualità.

Mercoledì 17 marzo sveglia alle tre, partenza in colonna scortata alle quattro con destinazione Sharm el-Sheik, situata sulla punta della penisola del Sinai e lontana circa 900 chilometri. Come se non bastasse sono previste anche due deviazioni per visita ad antichi monasteri cristiano-copti. Durata prevista del viaggio, circa 15 ore: siamo nelle mani del nostro autista che, per nostra fortuna, si rivela sempre più calmo e tranquillo e per niente impressionato dal lungo trasferimento odierno. Questo al contrario di alcuni componenti del gruppo che avrebbero fatto volentieri a meno di risalire la costa fino a Suez per poi ridiscendere verso Sharm optando per una traversata notturna del golfo di Suez in traghetto da Hurghada a Sharm; purtroppo per loro gli orari del traghetto non combinano con il nostro programma e quindi ci ritroviamo tutti quanti al completo sul pulmino.

Alle 7.15 facciamo la prima deviazione per raggiungere l'antico monastero di San Paolo eretto nel IV secolo sulle alture del Jebel al-Galala, dove appunto Paolo visse per circa 90 anni. Purtroppo, data l'ora, troviamo tutto chiuso e dobbiamo contentarci di vagare in silenzio tra i suoi vicoletti deserti. Il complesso è circondato da una piccola cinta muraria, sulla quale sono addossate piccole abitazioni e una fortezza, e comprende un piccolo villaggio, una chiesa e due case per ospitare i pellegrini. Poi, non ancora perfettamente ripresi dalla dura levataccia del mattino, torniamo sulla strada principale che scorre dritta verso nord in mezzo ad una striscia di terreno desertico di tre chilometri, limitata a occidente dalle montagne e ad oriente dal mar Rosso.

Alle 9 esatte, dopo aver deviato per una strada che si inerpica per una ventina di chilometri in mezzo a montagne color rosa, arriviamo al monastero di S.Antonio. Anche questo risale al IV secolo e venne costruito qui dai discepoli di S.Antonio. Quest'ultimo, ritiratosi da tempo a vivere come eremita nel deserto, decise poi di rifugiarsi in una grotta in prossimità del monastero dove morì all'età di 105 anni. Visitiamo il complesso, guidati da uno dei 25 monaci che attualmente vivono nel monastero dedicando la loro vita alla povertà, alla castità, all'obbedienza e alla preghiera. Vestito completamente di nero, con il capo coperto da una cuffia pure nera decorata con piccole croci bianche, ci descrive in buon inglese la storia del monastero e della chiesa. Anche qui, all'interno di una cinta muraria, si trovano una serie di chiesette, cappelle, dormitori, tutti colorati di giallo ocra in piena armonia con il paesaggio circostante, mentre, irrigati da una sorgente di acqua sotterranea, alcuni orticelli e alberi di olivo che sorgono al centro del complesso danno un piacevole tocco di verde e di freschezza. Al termine della visita guidata ci viene gentilmente offerto un bicchiere di tè caldo.