UN SALTO DI 1300 ANNI
Martedì 9 marzo partenza di buon mattino dopo una nottata non troppo tranquilla a causa del rumore e fischio dei treni che si fermavano alla stazione proprio sotto il nostro albergo e della monotona, continua litania di alcuni fedeli islamici iniziata verso le 4 di mattina.
La destinazione finale di oggi è Luxor, distante circa 350 chilometri da Asyut, facendo alcune soste per visita a siti archelogici e templi risalenti al periodo del Nuovo Regno e quindi con un salto in avanti di ben 1.300 anni rispetto alle piramidi e alle altre costruzioni viste sino ad ieri. Le prime cose da vedere dovevano essere i due monasteri Bianco e Rosso nei pressi di Sohag, ma, evidentemente per mancata comunicazione alla scorta da parte dell'agenzia, vediamo passare la cittadina e dobbiamo rassegnarci a proseguire verso Abydos. Il paesaggio è ormai quello conosciuto: gli asinelli si confermano il principale mezzo di trasporto della zona; le case si fanno sempre più misere e le persone vivono letteralmente in mezzo alla polvere, allo sporco e agli animali; a Sohag, una cittadina con un bel viale fiancheggiato da eucalipti, una bambina a cavalcioni di un asinello controlla una bambina ancora più piccola, di due o tre anni, che sta rovistando in un mucchio di spazzatura alla ricerca di un qualche rifiuto di un certo interesse. Ma che cosa? Ci fermiamo ad un passaggio a livello incustodito per consentire il lento passaggio di vagoni scoperti carichi di canna da zucchero: nell'attesa del passaggio del treno, dietro a noi cinque o sei uomini scendono dal loro furgoncino e sfilano alcune canne dai vagoni; Franco li imita e così, ripreso il viaggio, anche noi possiamo assaporare il dolce sapore della canna.
Verso mezzogiorno arriviamo finalmente al sito archeologico di Abydos. Pur trattandosi di uno dei luoghi più antichi e sacri dell'Egitto, ove infatti si facevano seppellire i sovrani della prima dinastia, i due templi che oggi possiamo ammirare risalgono "appena" al 1300 a.C. e sono intitolati a Sethi I e a suo figlio, Ramses II. Il primo, preceduto da due ampi cortili quadrati, è costituito da due stupende sale ipostile sorrette rispettivamente da 24 e da 36 colonne in calcare interamente decorate con incisioni e geroglifici, suddivise in file da 12, che anticipano le sette cappelle dedicate a Seti I, Ptah, Ra-Harakhty, Amon, Osiride, Iside e Horus e cioè alle maggiori divinità egizie e allo stesso faraone regnante. I soffitti delle cappelle sono blu, decorati con stelle a cinque punte per rappresentare un cielo stellato e le pareti, ricoperte di stucco bianco, sono adornate da figure dipinte in rilievo cavo, ancora capaci di dare una sensazione di vivacità colorica e di freschezza. Il tempio prosegue poi in una serie di stanze e gallerie, tutte piene di immagini in rilievo e di migliaia di geroglifici, quando disposti in senso orizzontale e quando in senso verticale per una maggiore armonia ed eleganza, che raccontano le gesta del faraone e delle varie divinità. Uscendo dal tempio, sul retro, si vede in una grande buca nel terreno, una delle sale ipostile del cenotafio, o falsa tomba, di Seti I con atrio centrale circondato dall'acqua; in alcuni punti delle pareti del corridoio sono ancora leggibili i testi tratti dal Libro dell'aldilà. La visita di Abydos termina con il tempio di Ramses II situato a poca distanza da quello di Sethi, del quale sono rimaste solo colonne e pareti di appena due metri di altezza.
Da Abydos proseguiamo sulla strada sino a Qena, una cittadina situata su un'ansa del Nilo e dalla quale parte la strada che attraverso il deserto orientale porta ad Hurghada sul Mar Rosso, per visitare il vicino tempio di Dendara. Si tratta di un magnifico tempio costruito in epoca tolemaica, verso il 150 a.C. e quindi ai tempi della imminente conquista romana, e dedicato al culto della dea Hathor, dea del cielo e dell'amore e sposa di Horus. E' uno dei templi meglio conservati dell'Antico Egitto grazie anche al fatto che è restato interamente sepolto dalla sabbia sino al 1800 (sul ciglio della sua terrazza si notano infatti una serie di graffiti datati 1809 e 1827 incisi dai primi archeologi che lo riportarono alla luce). L'ampio cortile del tempio, preceduto da un altissimo portale in pietra, conduce all'atrio ipostilo con 24 colonne con capitello a forma di testa di Hathor. Questa dea, secondo l'abitudine egizia che finisce con il creare una certa confusione interpretativa, oltre che come donna, viene anche rappresentata quando da una vacca, quando da una donna con testa di vacca e quando da una donna con cappello fatto dal disco del sole tenuto tra le corna di un bovino. Sulle pareti e sulle colonne sono raffigurate scene di offerte e di devozione alla dea da parte di imperatori Romani come Augusto, Tiberio, Caligola e Nerone. Dall'atrio si accede alla sala dell'apparizione con colonne e cappelle e infine alla stanza delle barche circondata da un corridoio sul quale si aprono 11 piccole cappelle. Purtroppo, come avremo modo di ritrovare anche in altri templi, molte figure umane risultano rovinate da una fitta serie di scalpellate appositamente procurate, in periodi successivi alla costruzione, da qualche faraone in segno di disprezzo per la persona raffigurata. Da una scala interna si sale sul tetto del tempio dal quale si gode una veduta sulle campagne, dalla parte verso il Nilo, e sul deserto, dalla parte opposta. Sul tetto si trovano anche alcuni piccoli edifici tra i quali la cappella di Osiride con soffitto adornato dal calco in gesso dello zodiaco di Dendara (originale al Louvre) con una rappresentazione circolare del cielo.
Terminata la visita dei templi Egizi di Dendara, riprendiamo il viaggio arrivando così a Luxor prima che faccia buio. Sistemazione nel centrale hotel Emilio, cena al buffet internazionale dell'albergo, passeggiata sino alla strada lungo il Nilo e poi a letto.
MITICA TEBE, ORA LUXOR
Nuova levataccia alle cinque di mattina per arrivare in tempo utile per poter far parte dei 150 visitatori giornalieri ammessi alla visita della tomba di Nefertari. Con il nostro pulmino raggiungiamo quindi il punto di ingresso ai mitici siti archeologici nascosti tra le montagne rocciose situate sulla sponda ovest di Luxor. Scatto bruciante di Adriana per precedere alla biglietteria la guida di un grosso pullman carico di turisti tedeschi e…..siamo tra i 150 privilegiati della giornata! Ognuno di noi si è costruito un itinerario di visita personalizzato e, per quanto riguarda Grazia, Valentina e io, abbiamo deciso di limitare la visita ad una tomba della Valle delle Regine ( visto che siamo arrivati in tempo sarà la tomba di Nefertari), a tre tombe della Valle dei Re da scegliere al momento e, per finire, al grandioso tempio di Hatshepsut. In attesa dell'apertura dei siti e soprattutto in attesa di Franco che è dovuto tornare in albergo a prendere la macchina fotografica dimenticata ( se fosse successo a qualcun altro chissà quante ne avrebbe dette!), ci guardiamo intorno. Ai piedi della catena di montagne splendidamente illuminate dal sole radente del primo mattino, è adagiato un piccolo nucleo di povere casette, colorate in varie sfumature di giallo, che chiede di essere fotografato. Insieme a Stefania e a Valentina, la cui compagnia mi rendeva più intraprendente nell'avvicinare le persone a scopo fotografico, mi avvicino al paese. Invitati da una bambina, entriamo curiosi in una casetta e qui una donna, fraintendendo qualche nostro gesto o parola, capisce che vogliamo mangiare e fa il gesto di uccidere un coniglietto vivo che teneva per le orecchie per potercelo cucinare: urla di disperazione Valentina e, faticando non poco per far capire che non vogliamo assolutamente mangiare, usciamo non senza aver lasciato qualche lira a titolo di bascisc (mancia). A piedi raggiungiamo le due gigantesche statue di Amenhotep III, faraone del Nuovo Regno, che sembrano vigilare sulla strada che conduce verso le montagne ove venivano sepolti re e regine. Si tratta di due statue alte 18 metri raffiguranti il faraone seduto, unici resti di un imponente tempio, chiamate i Colossi di Memnone perché durante il periodo greco-romano i "turisti" greci ritenevano che rappresentassero appunto Memnone, re d'Etiopia ucciso da Achille durante la guerra di Troia.
Tornato Franco con la macchina fotografica, entriamo con il pulmino nell'immenso sito archeologico e raggiungiamo la zona denominata Valle delle Regine perché vi sono state trovate circa 75 tombe di regine e principesse della XIX e XX dinastia e quindi risalenti al periodo d'oro del Nuovo Regno, dal 1300 al 1155 a.C. Qui la visita alla tomba della regina Nefertari, bellissima moglie di Ramses II, si rivela subito meritevole della sveglia all'alba e dello sproporzionato costo del biglietto di ingresso: tre tombe della Valle dei Re 20 L.E. e la sola Nefertari ben 100 L.E. Per fortuna che noi, essendo studenti con tanto di documento di riconoscimento dell'Unesco, godiamo della riduzione del 50%! Questa tomba è stata scoperta nel 1904 - comunque già profanata e depredata - da una missione archeologica guidata dall'italiano Schiaparelli ed è aperta al pubblico solo dal 1995, dopo anni di studi e di restauri strettamente conservativi. La tomba, alla quale si accede tramite una scala che scende a circa sette metri sotto terra, è costituita da una anticamera quadrata con piccola saletta annessa e dalla sala del sarcofago sorretta da quattro pilastri. Le pareti sono interamente dipinte con scene a colori stesi su un fondo bianchissimo che nonostante la scarsità delle luci riesce quasi ad illuminare l'ambiente. Le scene rappresentano Nefertari, sempre vestita da un abito lungo bianco e trasparente, nell'atto di compiere gesti di omaggio agli dei e sono corredate da storie scritte con centinaia di geroglifici e i soffitti delle varie camere sono coperti da stelle su fondo blu. I dieci minuti di tempo che abbiamo a disposizione per la visita della tomba passano in un attimo, ma ci consentono quanto meno di avere una idea della vivacità dei colori, dell'armonia dei disegni, della straordinaria eleganza dei geroglifici che, mi rendo conto, non possono essere considerati solo una scrittura ma anche una forma d'arte grafica. Resta insoddisfatta la solita voglia di leggere le storie e le scene raffigurate, ma il guardiano ci chiama e dobbiamo uscire.
Dalla Valle delle Regine andiamo in pulmino, lungo una strada che costeggia una superba catena di montagne rocciose sempre più esaltate nel loro colore giallo-rosso dal salire del sole, all'ingresso della Valle dei Re. Si tratta di una gola larga e profonda che si addentra e si ramifica all'interno di queste montagne dove i faraoni della 18°,19° e 20° dinastia, con l'intento – poi rivelatosi vano - di sfuggire alle continue razzie dei ladri di tombe, decisero di farsi seppellire. Anche qui sono state scoperte più di settanta tombe, ma solo cinque risultano oggi aperte al pubblico. Gli ingressi alla maggior parte delle tombe si aprono sul livello della strada e poi scendono sotto la montagna per qualche decina di metri, tramite larghi corridoi con pareti spesso piene di disegni e pitture, sino ad arrivare alla sala del sarcofago. Altre tombe invece, sempre per una maggior sicurezza, risultano scavate nella roccia, nascoste in qualche anfratto che si apre lungo le pareti delle montagne. In mezzo ad uno scenario fantastico percorriamo quindi l'intera tratto di strada che si addentra nella valle sino alla tomba più lontana, quella di Thutmosi III, che essendo scavata nel fianco di una parete di montagna a circa dieci metri di altezza, raggiungiamo salendo per una ripida scaletta in ferro. Una galleria lunga una trentina di metri ci porta all'interno della montagna sino alla camera funeraria, anche questa decorata ma non certamente a livello di quella di Nefertari, nella quale si trova il sarcofago vuoto in arenaria rosa. Ripercorrendo al contrario la strada della valle visitiamo quindi la tomba di Ramses III e quella di Ramses VI. La prima è una delle tombe più grandi ma non eccessivamente interessante, mentre la seconda, che si estende per 83 metri sotto la montagna, ha un corridoio ricco di piacevoli pitture murali. Tornati alla luce del sole, ci rifocilliamo con un tè caldo, e ci trasferiamo in pulmino sino al tempio funebre della regina Hatshepsut in località Deir al-Bahri.
Districandosi tra le solite bancarelle di souvenirs e insistenti venditori di immagini di dei egizi in finto basalto, ci troviamo in un immenso spazio aperto, interrotto sullo sfondo da uno stupendo semicerchio continuo di picchi di roccia calcarea color giallo ocra, perfettamente allineate sulla cima; al centro della base , quasi come se fosse parte integrante e naturale delle montagne stesse, si apre un tempio dello stesso colore, costituito da tre terrazze collegate da una rampa centrale di scale, tutte scandite da un lungo porticato di pilastri quadrati. Mi distraggo un attimo da questo scenario mozzafiato e leggo sulla guida la storia della regina Hatshepsut, figlia di Thutmosi I, che alla morte di quest'ultimo ebbe la meglio sul nipote del faraone, il futuro Thutmosi III, e si aggiudicò il controllo del paese divenendo la prima donna-re della storia. Quando, dopo 20 anni di regno caratterizzati da pace e prosperità, la regina morì, le successe finalmente Thutmosi III, il quale, per vendicarsi dei soprusi patiti, fece cancellare con colpi di scalpello tutte le immagini di Hatshepsut dalle pareti e dalle colonne del tempio funebre.
Terminata così la visita ai principali siti della sponda occidentale di Luxor, torniamo in albergo e, tanto per non restare in ozio, noleggiamo una feluca – tipica imbarcazione a vela - per goderci un'ora di rilassante navigazione lungo il Nilo fino al tramonto del sole. Con il vento in poppa - si fa per dire perché soffia solo una leggera brezza, comunque sufficiente a far volare irrimediabilmente in acqua il cappellino con i colori viola della Fiorentina di Mauro detto Mimmi lasciandolo stordito per il resto della giornata – raggiungiamo l'isola delle Banane sulla quale approdiamo pagando 5 L.E. a testa per l'attracco. E' un isolotto privato, interamente coperto da una ricca vegetazione di banani, aranci e mandarini in fiore che riempiono l'aria di un profumo dolcissimo e intenso. Durante il percorso di ritorno, effettuato contro vento a zig-zag, assistiamo al tramonto del sole che sparisce dietro la silhouette delle palme della riva occidentale del Nilo mentre il cielo si colora di giallo e di rosso.
Trascorriamo l'ultima parte dell'intensa giornata tra acquisti di scarabei e cartigli d'oro, prenotazione biglietti aerei per Abu Simbel, cambio valuta e cena all'aperto al ristorante Amon di Luxor.
Il giorno successivo è dedicato alla visita dei templi di Luxor. Al mattino raggiungiamo a piedi il grande complesso dei templi di Karnak, situato a circa un paio di chilometri a nord dal centro di Luxor, dove abbiamo appuntamento con una guida locale. Qui ci troviamo all'interno di un gigantesco complesso monumentale costituito da cinte murarie, templi, piloni, cappelle, sale ipostile, colonnati, cortili, obelischi e statue costruiti, smantellati, modificati e decorati in un periodo di tempo di circa 1500 anni a partire dal Medio Regno, quando il dio Amon era al centro del culto egizio, sino al Nuovo Regno. Tutto questo insieme di costruzioni più o meno integre e apparentemente disordinate, oltre a farmi meravigliare ancora una volta delle incredibili capacità costruttive di una civiltà risalente a circa 4000 anni fa, finisce con il disorientarmi un po' e, nonostante la presenza e le spiegazioni della guida, non riesco a seguire un percorso logico. Osservo le sfingi con la testa di ariete che fiancheggiano il viale di ingresso; guardo incredulo gli altissimi piloni che scandiscono il succedersi di grandi cortili; ammiro le ormai consuete grandi statue in granito rosa di Ramses II; mi perdo nella grande sala ipostila formata da una indimenticabile foresta di un centinaio di gigantesche colonne di pietra con capitello a forma di papiro; alzo lo sguardo verso la punta degli obelischi risparmiati dai Romani e da Napoleone; mi riposo sulle rive del lago sacro ove si purificavano i sacerdoti di Amon e infine tento di ingraziarmi la fortuna, facendo qualche giro intorno ad un grosso scarabeo in pietra.
Dai templi di Karnak ci trasferiamo in carrozza al tempio di Luxor, anche questo dedicato ad Amon e attribuito al regno del faraone Amenhotep III, il predecessore di Akhenaton e di Tutankhamon. Anche qui viale delle sfingi con testa di donna, altissimo pilone di 24 metri, due gigantesche statue del solito onnipresente Ramses II con piccola figura della moglie Nefertari ai suoi piedi, obelisco in granito rosa identico a quello portato a Parigi in Place de la Concorde, grandi incisioni che mostrano le vittorie del faraone e così via tra sale ipostile, cortili con porticati, templi, cappelle e sacrari.
Con il dovuto rispetto, per oggi ci riteniamo abbastanza sazi dell'arte egizia e allora, dopo il tentativo di andare a visitare con il nostro pulmino il villaggio di Armant sulla sponda ovest del Nilo, non riuscito perché bloccati dalla polizia che ci ha impedito di viaggiare senza scorta, preferiamo dedicare il resto della giornata ad un più vivace giro per le strade di Luxor alla ricerca di immagini da rubare e cose da acquistare. Con Stefania e Valentina giriamo senza meta distribuendo caramelle e bascisc a frotte di ragazzini, acquistando direttamente da un sarto un paio di tipici pantaloni egiziani, fotografando incredibili botteghe, facendosi fare un tatuaggio di hennè sulle mani e concedendo ad un intraprendente piccolo lustrascarpe di pulire le mie logore scarpe da barca reduci da viaggi nei tre continenti. Stanchi della zona commerciale, ci spostiamo sulla strada lungo il Nilo, sempre alla ricerca di immagini, e infine andiamo sull'altra sponda utilizzando un grosso barcone che svolge un servizio continuato di traghetto. Nonostante il gran numero di persone che incessantemente vanno e vengono da una sponda all'altra, noi vediamo solo un piccolo nucleo di casette e ci fermiamo ad un bar a bere un tè e a fare una partita a domino con alcuni egiziani.
Cena al buffet internazionale dell'albergo e poi nuovo attraversamento in notturna del Nilo per andare a trovare un italiano che da qualche tempo vive qui in Egitto. Due nostri compagni, Eleonora e Stefano, lo avevano conosciuto occasionalmente nel pomeriggio e avevano accettato il suo invito. Con una certa difficoltà troviamo la sua abitazione in una buia stradina. Si chiama G. N. giornalista in pensione, vive da solo in una casetta sulla riva occidentale del Nilo e ha scelto di vivere in Egitto perché è appassionato di egittologia, sta scrivendo un libro sui misteri di questa antica civiltà e, non ultimo, perché solo qui può vivere decentemente con una pensione di 900.000 lire italiane. E' un tipo strano, ha avuto cinque mogli, ma nessuna ha resistito più di tanto; ha un paio di figli che vivono a Roma più strani di lui; ha una mamma che aveva provato a vivere qui ma dopo un mese se ne è tornata a Roma disperata; ha sempre lavorato pochissimo, quel tanto che bastava per sopravvivere e appena ha potuto se ne è andato in pensione. Accettiamo volentieri un buon caffè italiano e un martini, ma ci troviamo tutti d'accordo nel rifiutare l'offerta di fumare uno spinello! Ha un modo piacevole ed accattivante di raccontare le cose e se non fosse per la stanchezza e il timore che magari il traghetto del fiume possa interrompersi ad una certa ora della notte, resteremmo volentieri ad ascoltare le sue storie. Ma il dovere ci chiama e domani mattina la partenza è prevista per le 6,45! Salutiamo Gianni e torniamo a Luxor senza problemi.