Nonostante volessero essere riconosciuti quali autentici faraoni egizi, i Cusciti sono stati raffigurati con i loro caratteri nubiani, adornati di gioielli a testa di ariete, mentre la tipica calotta che copre il loro capo è decorata da un doppio uraeus che evoca l'unione dell'Egitto e del Sudan.

Questi rudi guerrieri africani, la cui cultura è in un certo senso cugina di quella degli Egizi, hanno protetto la bassa valle del Nilo contro un invasore di tutt'altra natura: gli Assiri. Leggendo la Bibbia, attraverso le riunioni, le invettive dei profeti e dei sovrani di Israele, si misurano l'ampiezza e la violenza di questo conflitto che, durante mezzo secolo, oppose l'Africa e l'Asia. Nel 663 si assiste al sacco di Tebe. L'ultimo sovrano della stirpe etiope, Tanutamon, fugge verso il Sud. Gli Assiri impongono governatori loro devoti. Ma niente di questo rimane nella storiografia egizia, i cui monumenti ci consegnano un unico nome, quello del dinasta di Sais, Psammetico, che ristabilisce l'unità e l'indipendenza del paese (664-610).

Ormai l'Egitto si volge al Mediterraneo. Il Delta, che si apre al commercio marittimo con i Greci e i Fenici, prevale su un Alto Egitto votato al mantenimento delle tradizioni culturali. Psammetico fa adottare la figlia Nitocris dalle ultime Divine Adoratrici etiopi. Al piede della vetta tebana, l'Assassif, sono scavate vaste tombe, decorate di sontuosi rilievi: le camere funerarie del «quarto profeta di Amon, principe della città» Montuernhat, di Petamenophis, di Aba, di Pabasa e di Ankhhor vanno annoverate fra le grandi opere egizie. Ma a Saqqara, nella necropoli menfita, vengono scavate ben presto sepolture altrettanto impressionanti; alcune saranno di un tipo nuovo: un pozzo molto largo e profondo, in fondo al quale è ricavata la cripta, con un pozzo laterale secondario destinato a bloccare l'ambiente dopo l'inumazione.

Gli storici, senza soffermarsi sulla parentesi etiope, per lungo tempo hanno situato il «rinascimento» sotto la dinastia saita (664-525). È vero che in questo periodo esiste una spiccata tendenza a ricercare i modelli plastici nelle opere del passato, ma più di quanto forse non sembri, l'Egitto tende a volgersi verso valori più moderni. Il faraone Nechao (610-595) si dedica a progetti nuovi: inizia a scavare il canale dei Due Mari, che doveva permettere il passaggio dal Mediterraneo al Mar Rosso e organizza un periplo dell'Africa. Degno di miglior sorte, perde la battaglia contro i Babilonesi, la nuova, forte potenza della Mesopotamia. Gli Egizi, che avevano condotto con successo una formidabile spedizione militare attraverso la Siro-Palestina, sono sconfitti vicino a Karkemish (605); l'Egitto è salvato dall'invasione solo dalla morte di Nabopolassar. Nechao, energico e perseverante, appare come l'uomo delle occasioni perdute. Sotto Psammetico II (595-589), minacciati dal regno di Kush, gli Egizi entrano in guerra e si spingono fino a Napata; in questo periodo cominciano a essere scolpiti i cartigli dei sovrani etiopi e il loro caratteristico secondo uraeus; durante un viaggio in Palestina Psammetico II è accolto come un trionfatore.

La politica di espansione verso l'Asia riprende sotto Apries (589-570), ma conosce degli smacchi. Tiro resiste a un assedio di tredici anni. Nabucodonosor, nel 586, marcia su Gerusalemme; mentre un gran numero di Giudei sono condotti in cattività a Babilonia, altri si rifugiano in Egitto, attirando su di sé le maledizioni del profeta Geremia. La sua predilezione per i Greci perse Apries: essendosi i Libi rivoltati contro i Greci di Cirene e avendo chiamato in soccorso il faraone, questi non volle impiegare contro gli Elleni i suoi mercenari greci; le truppe egizie che egli inviò subirono pesanti rovesci) si sollevarono e proclamarono re il loro generale Amasis. Quest'ultimo, di umili origini, ha lasciato di sé un buon ricordo. Il suo lungo regno (570-526) assicurò la prosperità; occupandosi delle imposte) seppe calmare i sentimenti xenofobi dei suoi partIgiani e concentrò a Naucratis tutto il commercio greco dell'Egitto. Contro la minaccia dei Babilonesi stabilì buone relazioni con i Greci di Cirene, sposando persino una principessa di questa città; si alleò con Policrate, il tiranno di Samo. Ma questo regno brillante non ebbe futuro. Sotto Psammetico III, suo figlio e successore, Cambise, signore dei Persiani e dei Medi, si fece consegnare i piani di battaglia da uno dei generali greci al servizio dell'Egitto. Dopo la battaglia di Pelusio e 1'assedio di Menfi, Psammetico III dovette darsi la morte (525). Per oltre un secolo l'Egitto resta sotto il dominio persiano. Nei monumenti si riconosce il Gran Re come un faraone; il suo nome è circondato dal cartiglio; vestito alla foggia egizia, è raffigurato in atto di adempiere ai riti tradizionali. Ma contro i padroni stranieri si sviluppa una violenta corrente xenofoba. Il clero egizio si irrigidisce sulle posizioni più conservatrici. Cambise, che ha fallito due spedizioni, una contro l'oasi di Amon nel lontano Deserto di Siwa, l'altra contro i Cusciti, è descritto come una sorta di epilettico, che profana la tomba di Apries e massacra il toro Api. Tuttavia, questo ritratto così negativo lasciatoci da Erodoto, proviene dalle informazioni dei sacerdoti nazionalisti. La grande iscrizione di un «collaboratore”, Ugehorresne, ammiraglio e “Grande» dei medici, incaricato di dare un assetto al protocollo faraonico di Cambise) ci parla invece del sovrano persiano preoccupato di restaurare Sais. Sotto Dario (522-485), l'Egitto diventa la sesta satrapia persiana. I testi legislativi egizi sono riuniti in un corpus. Dario si interessa alla via del Mar Rosso, completando il canale dei Due Mari e occupandosi della strada via terra da Coptos a Kosseir. Si dedica anche a una vera politica sahariana, forse con lo scopo di controllare le lontane piste fino nel retroterra di Cartagine. A ogni modo egli fa costruire nell'oasi di Kharga un grande tempio di concezione e di decorazione completamente egizie. La prosperità dell'Egitto è indicata dal tributo che esso paga, il più pesante dopo quello di Babilonia: 700 talenti d'argento, ai quali si aggiungono le cospicue entrate dei bacini di pesca del Fayyum.

La valle del Nilo è ormai completamente aperta all'esterno; mentre operai egizi deportati lavorano al palazzo di Susa e un contingente partecipa, nell'esercito persiano, alla battaglia di Salamina, gli stranieri, soprattutto Giudei e Greci, si installano in Egitto, protetti dallo statuto persiano. È anche l'epoca dei viaggiatori greci: Ecateo di Mileto ed Ellanico di Mitilene. Ma, come ci è noto, comincia a svilupparsi un'opposizione contro i Persiani. Si esaltano le grandi figure egizie del passato, contro i nuovi l dominatori e nasce allora la leggenda di Sesostris, assieme all'ostilità contro il dio Seth, legato agli stranieri. In modo subdolo, nomi propri denigratori sono coniati per gli occupanti quali vere e proprie congiure magiche. Dopo che le guerre mede hanno reso evidenti le debolezze dei Persiani, l'insurrezione, sostenuta da Atene, diviene quasi permanente. Dopo un breve periodo di indipendenza sotto il saita Amirteo, l'unico sovrano della XXVIII dinastia, gli indeboliti Persiani riprendono il potere. Ma nel 399 sale al trono un principe di Mendes, una delle grandi città del Delta. Conosciamo poco della XXIX, dinastia, detta mendesiana (399-380). Colossali naos monolitici, ma rovesciati, giacciono tra le tetre rovine di Mendes; una missione archeologica americana ha iniziato scavi che forse desumeranno una gloria altrimenti svanita. A Karnak è stato restaurato un tempio di Akoris (393-380), in cui si nota una vivace persistenza del vecchio santuario nazionale. L'Egitto raggiunge una maggior potenza sotto la dinastia seguente, che proviene dalla città di Sebennito, anch'essa nel Delta. La XXX dinastia (380-343) rappresenta l'ultima fase della storia dell'Egitto indipendente ed è una fase brillante. Riallacciandosi alla tradizione saita, essa manifesta volontà di conquista e incrementa un'attività politica monumentale. I santuari di Sebennito e di Behbeit el Hagar offrono, incise nel granito, scene eleganti; le dee, nonostante le forme prosperose, conservano una certa grazia. Nectanebo II innalza a Dendera un mammisi (o “casa della nascita») che è il più antico conosciuto. Ferventi devoti della dea Iside, i Nectanebo legano il proprio nome all'isola di File, all'estremo sud del paese. Parecchie opere di statuaria testimoniano allora del valore dell'arte della Bassa Epoca; a fianco di un certo conformismo idealizzante, realistici ritratti ci descrivono la personalità del donatore. Quest'ultimo bagliore dell'Egitto nazionale terminerà l purtroppo in modo brutale. Con l'appoggio di generali greci si riaccende la lotta contro i Persiani. Il figlio di Nectanebo I, Teos, mobilita tutte le risorse: requisisce il metallo prezioso, tassa i cereali, fa pagare tasse di importazione e sopprime i privilegi accordati dal padre al clero di Sais. La conquista della Palestina è rapida. Ma, mentre Teos e l'esercito egizio conoscono grandi successi, un colpo di stato nel 359 pone sul trono Nectanebo II. Questi respinge nel 350 Artaserse III Oco, ma nel 343 i Persiani vincono: il faraone – ultimo sovrano nazionale del millenari Egitto – deve fuggire verso il Sud.