A Dendera si leggono i nomi degli ultimi Tolomei e quelli degli imperatori romani fino a Nerone. La facciata con gli enormi sistri simboleggia il culto reso a Hathor. La dea allatta Cesarione, il figlio di Cleopatra e di Cesare, la cui nascita divina era narrata dai bassorilievi del tempio, oggi scomparso, di Erment. In prossimità del tempio di Hathor a Dendera, un nuovo mammisi reca i cartigli degli imperatori da Nerone ad Antonino. Di fronte al pilone del tempio di Luxor, nel 126 della nostra era, Adriano dedica un piccolo santuario innalzato su un podio; una lside di stile greco domina la statua del toro Api, un Osiride Canopo, stele e altari. A Kom Ombo, da Tolomeo VI Filometore (181-143) fino a Macrino e a Diadumeniano (218 d.C.), si prosegue la costruzione e la decorazione di un curioso tempio doppio consacrato sia al dio-coccodrillo Sobek sia al dio-falco Horus il Grande. Il I secolo della nostra era vede l'apogeo dell'importante complesso di File; l'isola santa di Iside diventa allora quella perla dell'archeologia egizia che meritava certo uno sforzo internazionale per essere : salvata dalle acque; all'inizio del II secolo d.C. Traiano vi associa il proprio nome a un raffinato padiglione; pellegrinaggio cosmopolita, essa riceve regolarmente le ambascerie dei Meroiti; i sacerdoti di Iside saranno espulsi dai venerabili santuari della Prima Cateratta solo verso il 535 d.C. sotto il regno di Giustiniano. Prima, durante secoli, attraverso la Bassa Nubia si ingrandiscono i templi; si costruiscono persino nuovi santuari quali Kalabsha e Dendera, in nome di Augusto. Se ci si spinge fino alle oasi del Deserto libico, dove alcune fortezze indicano vigorosamente il limes romano in queste regioni desertiche, troviamo santuari restaurati o dedicati dagli imperatori romani: Vespasiano a Deir el Hagar nell'oasi di Dakhla, Domiziano, Traiano e Adriano nel tempio di Dush all'estremo Sud dell'oasi di Kharga, avamposto a guardia delle piste che si dirigono verso il Regno meroitico. Le innumerevoli scene e le interminabili iscrizioni incise su questi templi testimoniano, con sapienti giochi di scrittura, delle elaboratissime speculazioni delle scuole teologiche. Se soltanto Vespasiano, Adriano, Settimio Severo e Caracalla visitarono l'Egitto, le crisi del Basso impero romano ebbero ripercussioni fin nell'Alto Egitto.

A Esna le immagini faraoniche e i cartigli di Geta sono martellati da Caracalla, suo fratello nemico; quelli di Filippo 1'Arabo sono distrutti da Decio (250 d.C.). Ormai non vi sono più grandi costruzioni di stile faraonico. Gli usciabti, così caratteristici della civiltà egizia, non esistono più: l'ultimo è a nome di Pashery-en-Ptah, gran sacerdote di Menfi sotto Cleopatra VII (41). Dopo l'inizio dell'era cristiana, le statue di stile puramente egizio divengono via via più rare per poi scomparire completamente. Tuttavia alcuni testi geroglifici vengono incisi sotto Diocleziano (284-305) e sotto Massimino Daia, fin sotto Teodosio) nell)agosto del 394 d.C.; alla metà del v secolo d.C., a File, si scrive ancora in demotico. Stupefacente persistenza della cultura egizia.

Tuttavia, in Egitto, da oltre cinque secoli 1'ellenismo è presente e in una situazione di forza. E vi si è sviluppata un' arte ibrida greco-egizia, sulla quale forse è prematuro esprimere un giudizio. Le vaste necropoli di Alessandria (Kom el Chugafa, Anfuchy) e anche alcuni siti del Fayyum ci consentono un primo approccio; alcune opere non mancano di un certo fascino: un toro sacro, col nome di Adriano, avanza prepotentemente. Arte egittizzante a gradi diversi ma che, nei riguardi delle grandi epoche anteriori, accusa la stessa distanza, rispetto all'autentica religione egizia, dei culti detti “isiaci” che si sviluppano tutt'attorno al Mediterraneo.

Per quanto originale, e persino superbamente chiusa in se stessa, la civiltà egizia, nel suo ultimo millennio, dovette confrontarsi con tanti nuovi signori stranieri. Con la cultura greca forse ci furono, in un primo momento, contatti utilissimi e fecondi, come testimoniano Erodoto e Platone; ma la pressione politica dell'occupazione da parte dei Tolomei e quella della koinè ellenistica l'avevano spinta a raccogliersi in sé esprimendosi ancora in modo grandioso con i grandi templi e le ampie elaborazioni teologiche) forse molto più bigotte nei culti popolari) zoolatri e magici. Con il trionfo del cristianesimo l'Egitto perde i suoi dei, la sua scrittura, la propria civiltà; morta la grande tradizione, bisognerà cercare nell'arte copta le sole sopravvivenze.

Jean Leclant

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