Il Crepuscolo del mondo egizio – Dall'XI secolo a.C. Al IV secolo d.C. di Jean Leclant
Troppo spesso si fa arrestare la storia dell'arte egizia alla fine del Nuovo Regno; poche righe e non certo lusinghiere bastano per chiosare una lunga decadenza – lunga indubbiamente, poiché si tratta di circa un millennio e mezzo; decadenza certo no, perché vi compaiono numerosi rinnovamenti e vi si creano parecchi autentici capolavori. Gli enormi templi delle epoche tolemaica e romana levano ancor oggi le loro sorprendenti masse, incise di innumerevoli testi che costituiscono inesauribili fonti documentarie sulla religione e il pensiero faraonici; statue, pezzi di oreficeria – alcuni prestigiosi – attestano il sussistere delle qualità tradizionali degli artisti e degli artigiani egizi.
La Bassa Epoca soffre soprattutto di essere mal conosciuta: molti documenti non sono ancora pubblicati o lo sono in maniera incompleta; non ci si è ancora applicati in modo sufficiente ai problemi storci; gli storici dell'arte non hanno tentato di analizzare e di comprendere a fondo i caratteri dei diversi periodi, molto dissimili fra loro, che la costituiscono. Il trionfante Egitto imperiale è ormai finito; nonostante alcuni tentativi infruttuosi, i faraoni non possono rimettere piede in quei territori che durante il Nuovo Regno avevano dominato in Asia e in Africa, tuttavia l'influenza culturale resta considerevole, sia sull'arte fenicia sia su quella della Nubia. Si è lontani anche dallo splendido isolamento dell'Antico Regno: pur costretto a ripiegarsi su se stesso, l'Egitto è nel vortice della grande politica del Vicino Oriente e troppo spesso subisce le vicissitudini delle invasioni. Ed è un fatto tanto più stupefacente che, nonostante veri periodi di impoverimento, esso abbia ancora dato prova di simili lampi di fortuna e di un tale ascendente.
{multithumb thumb_width=110 thumb_height=110 thumb_proportions=crop num_cols=4 } La storia che la valle del Nilo conosce in questi tempi è molto complessa e ricca di numerosi colpi di scena. Dopo la straordinaria durata delle sue epoche più fulgide, i Regni (l'Antico Regno, il Medio e il Nuovo Regno, tra i quali vanno purtroppo citate le enormi zone d'ombra dei Periodi Intermedi), l'evoluzione degli ultimi tempi può apparire caotica, eterogenea, tributaria di diversissime influenze esterne. Nonostante ciò essa resta eminentemente egizia, sottomessa nella sua interezza alla istituzione faraonica. Ne risulta una profonda unità di ispirazione, che non riuscì però a far ignorare la disparità di alcune opere in cui prevale l'impronta dell'esterno.
Il millennio e mezzo durante il quale l'Egitto vive in un lento crepuscolo è ricchissimo di eventi importanti, anche se talvolta contraddittori e imprevisti, e per lo più misconosciuti. È necessario perciò presentarne una rapida panoramica indispensabile alla comprensione di forme nelle quali si intrecciano correnti diverse e tanto numerose, “slittamenti, innovazioni, imitazioni e ritorni al passato”.
Dopo che l'ultimo Ramesside, Ramses XI, scomparve con discrezione dalla scena della storia e dopo che il gran sacerdote tebano di Amon, Herihor, usurpando il trono, divenne faraone (intorno al 1070), l'Egitto cominciò a frammentarsi. Nel Nord, con Smendes, compare uno stato indipendente. I tre secoli oscuri che allora si aprono costituiscono un Terzo Periodo Intermedio, eco forse dei gravi sconvolgimenti che hanno contraddistinto, nel complesso del Mediterraneo orientale, la fine del Bronzo recente e 1'inizio dell'Età del Ferro.
Sotto la XXI dinastia (1070-945 circa), i re di Tanis, nel Nord-Est del Delta, si proclamano talvolta “primi profeti di Amon” divenendo così i concorrenti dei grandi sacerdoti tebani che, a loro volta, spesso circondano il proprio nome col cartiglio faraonico. A Tanis, con blocchi di pietra di ogni dimensione, asportati dalla vicina residenza di Pi-Ramses) è costruito un grande santuario per la gloria di Amon, che Psusennes I (1040-990 circa) cinge con un possente muro di mattoni crudi. Nell'interno stesso della cinta sacra, in un angolo, è ricavata una necropoli. Costruite con blocchi di riutilizzo, a non grande profondità, le cripte di molti faraoni e dei loro grandi dignitari sono state scavate da P. Montet appena prima della seconda guerra mondiale, in un momento in cui la risonanza di una simile scoperta non poteva destare il dovuto clamore. Il periodo sarebbe potuto sembrare privo di ogni interesse se non fossero state riesumate le maschere d'oro e d'argento di Psusennes e di Pinegem; nonostante i saccheggi, il materiale raccolto assicura la gloria di Tanis. D'altronde, i fasti del faraone egizio dovettero avere una notevole risonanza alla corte di Salomone e di Davide) giacché questi ultimi cercarono nella valle del Nilo modelli per i loro inni, le loro regole di vita, il modo di amministrare e in qualche caso, una sposa. Segno dei tempi, in quanto in precedenza era del tutto impensabile che una principessa egizia potesse unirsi a uno straniero. La fragilità di questo Egitto diviso lascia campo libero a soldati di origine libica, che si impadroniscono del potere. I più potenti costituiscono la XXII dinastia, che Manetone definisce “bubastita”, dal nome della città di guarnigione da cui proveniva il fondatore della dinastia, Sheshonq I (intorno al 945-924 circa). L'Egitto presenta ora una struttura di tipo feudale, la cui configurazione politica è costituita dai legami di parentela o di alleanza fra i capi militari. Ma la civiltà resta tipicamente tradizionale: i padroni libici non sono assolutamente percepiti come degli stranieri; la classe sacerdotale alla quale partecipano tutti i dirigenti conserva intatte le proprie prerogative.
A Karnak, Sheshonq I, riaperte le cave di grès di Gebel Silsila, fa costruire il portico detto “dei Bubastiti”, dove si può riconoscere ancora la figura del faraone trionfante mentre cavalca contro Gerusalemme, dove si impossesserà delle monete d'oro accumulate da Salomone. In seguito fa edificare un tempietto a pianta classica a el Hiba, nel Medio Egitto. Nella nuova capitale, Bubasti, nel cuore del Delta, Osorkon II (862-833 circa) fa innalzare un atrio per la festa del Giubileo, i cui rilievi, finemente incisi nel granito, sono la copia fedele delle scene canoniche e delle grandi sfilate della festa-sed, raffigurazioni già note grazie all'opera di Nesure (Abu Gurab) e di Amenophis III (Soleb). A Tanis, Sheshonq III fa costruire un propileo e Sheshonq V un edificio del Giubileo.
Ulteriori ricerche nel Delta riporteranno sicuramente alla luce le vestigia, purtroppo forse in cattivo stato, di moltissime altre costruzioni dei Bubastiti. Nella stessa Karnak sono stati scoperti, reimpiegati nella parte che precede il tempio di Khonsu, rilievi di grande finezza con i nomi di Osorkon III e di suo figlio, il gran sacerdote Takelot.
Se alcune sculture reali o funerarie sono usurpate, una bella serie di opere, destinate ai templi e non alle cappelle funerarie, testimoniano di fonti di ispirazione eclettiche; le forme sono molto varie: statue-cubo, statue naofore o teofore. Pur essendo impossibile stabilire quanta parte il caso abbia giocato nella distruzione delle sculture della dinastia precedente e quanto nella conservazione di quelle dell'epoca libica, numerosi bronzi, di cui fini niellature d'oro e d'argento esaltano lo splendore, testimoniano della fama di quest'ultima. Tuttavia, continui conflitti indeboliscono l'oligarchia dei militari e del clero. Il Delta si sbriciola: una potente famiglia di Sais estende il suo potere e anche il Medio Egitto conosce piccoli sovrani.
Intorno al 730, dal lontanissimo Sud si avanza un potente condottiero, Piankhi, o Peye: signore dell'Alta Nubia, delle zone attorno a Gebel Barkal, supera steppe e deserti, attraversa l'Egitto spezzettato e giunge fin nel Delta, con una spedizione militare trionfale che una grande stele ci tramanda con geroglifici egizi. Egli impone una assoluta ortodossia, sacrificando ad Amon, il signore di Tebe, che, sotto la sua forma animale di ariete è anche il dio principale dei Cusciti. Se Peye ben presto abbandona l'Egitto alle sue lotte e ritorna in Nubia, il fratello e successore Shabaka ritorna fino al Delta intorno al 713, manda al rogo Bocchoris, il dinasta di Sais, famoso nella tradizione classica per il suo codice di leggi, e fonda la XXV dinastia. Sotto i tre sovrani della dinastia detta “etiope” o “cuscita”, Shabaka (713-698 circa), Shabataka (698-690 circa) e Taharqa (690-664), tutto il paese conosce una vera rinascita. Fedeli ai valori dell'antico Egitto, essi cercano i loro modelli al di là dei Ramessidi, fin nel classicismo del Medio Regno, e talvolta persino nelle opere gloriose dell'Antico Regno Egizio. Si ricopiano vecchie iscrizioni, come il Testo di teologia menfita. La tendenza arcaicizzante è tale che su un rilievo di Taharqa nel tempio di Kawa è rappresentata nella maniera più tradizionale la sfinge che calpesta i nemici, di fronte a una famiglia libica i cui nomi sono gli stessi di quelli che compaiono su rilievi antichi di oltre millecinquecento anni: Sahure, Pepi I e Pepi II. Ma, a Kawa e a Sanam, le decorazioni sono di uno stile più moderno: orchestra che accompagna la barca sacra, scene di trasporto su carri e su chiatte.
L'Egitto si copre di monumenti. Shabaka, le cui emissioni di scarabei sono numerose, restaura le cinte e le porte di Medinet Habu, Karnak e Dendera. A Luxor e a Medamud erige colonnati-propilei, di un tipo che sarà caratteristico della dinastia; è attivo anche a Menfi, dove sono ancora visibili opere in calcare scolpite con grande delicatezza. Shabataka, a Karnak, ingrandisce il santuario di Osiride Heka-get e dedica una cappella sulle rive del lago sacro. Il costruttore per eccellenza è Taharqa. Alle grandi realizzazioni della Nubia egli aggiunge un audace programma tebano: colonnati-propilei ai quattro punti cardinali di Karnak, piccole cappelle in onore di Osiride, testimonianza del crescente fervore nei riguardi del dio della resurrezione, che risponde benevolo all'afflitto, quale signore della vita e dell'eternità.