La transizione

D’altro canto, l’atteggiamento del deserto nei confronti dell’Egitto moderno non è così lineare come sottintendono sia Harding King sia Lonely Planet. Quando arriva, la modernità è contrastata e plasmata da credenze e costumi locali che risalgono a migliaia di anni fa, in modo da ricreare continuamente l’identità del deserto. Oggi gli autisti dei fuoristrada ricevono online le prenotazioni dei turisti e accettano pagamenti con carta di credito, ma molti credono ancora nella mistica oasi perduta di Zerzura, documentata anche da Harding King. Come resta forte il terrore degli ifrit, gli spiriti diabolici che entrano nel corpo di chi li calpesta.

Durante il suo viaggio, Harding King fu perseguitato dagli ifrit con tale insistenza che fu costretto a evocare un diabolico folletto inglese che lo proteggesse da quelli locali. Oggi Abdel Raba Abu Noor ricorda che a Qasr Farafra è stato recentemente convocato uno sceicco per quindici giorni di preghiera allo scopo di scacciare un ifrit da uno sfortunato abitante del villaggio. Queste credenze, cui Harding King dedicò lunghe appendici, sono parte integrante del deserto Occidentale di oggi, tanto quanto le moderne antenne telefoniche. A idealizzare la presunta autenticità del passato sono gli estranei, come lo stesso Harding King, e lo fanno solo per se stessi. Per quanto brillanti fossero le sue ricerche sui campioni di roccia e le sue classificazioni etnografiche, la vera lezione che involontariamente Harding King portò a casa è che è inutile qualunque tentativo di vedere il deserto e chi lo abita attraverso il vetro polveroso della teca di un museo.

Questo non significa che non debba essere criticata la drammatica trasformazione di questi luoghi incontaminati provocata dai grandiosi progetti governativi direcupero del territorio e ripopolamento di massa. Per ogni caso positivo, come gli oltre cento feddan (42 ettari) di coltivazioni rigogliose che oggi spuntano dalla sabbia, accanto all’antica strada percorsa da Har ding King da Farafra a Dakhla (una rigogliosa coltivazione di luppolo su una distesa di terra che solo due anni fa era sterile), ci sono anche segni del fallimento. Se da Qasr Kharga si guida per 40 chilometri in direzione sud, si possono vedere sulla sinistra le dune su cui sorgeva il villaggio di San’a. Dal terreno sbucano i cortili abbandonati di case ora sepolte dalle dune e pali telegrafici che affondano nella sabbia sempre più alta. Tutto questo è stato costruito da un governo che cerca di imporsi sul deserto, per poi scoprire che qui è il deserto ad avere la meglio. Più oltre, lungo la strada, c’è il guscio desolato del villaggio di New Baris, un progetto di Hassan Fathy, acclamato architetto egiziano, che risale agli anni sessanta. Anche New Baris oggi è circondata dalle dune: un luogo derelitto, ma anche un monumento al romanticismo e all’eccessiva ambizione in un ambiente spaventosamente privo di romanticismo.

Cento anni fa Harding King partì con l’idea di esplorare un angolo nascosto dell’Egitto. Come le persone che avevano tentato prima di lui, non riuscì a raggiungere Al Khofra. Ma fece ritorno, anche se solo per raccontare una storia: la storia di uno stile di vita pittoresco sigillato nell’Egitto del passato. Oggi, come afferma OmarAhmed Mahmoud, capo dell’ufficio turistico di Dakhla, “siamo l’Egitto del futuro”. Mentre i sogni della nuova valle si trasformano lentamente in realtà, l’unica speranza è che i popoli del deserto siano consultati e possano incidere sui cambiamenti che stanno rivoluzionando la loro terra. “Tutti dicono che qui non c’è nessuno”, dice Cassandra Vivian, autrice della più completa guida moderna di questa zona. “Dobbiamo fare in modo che i locali abbiano voce in capitolo nella transizione”. Gli anziani, quelli che hanno ascoltato le storie di prima mano sulla straordinaria avventura di Harding King nel loro deserto, concordano. “La tradizione è come il tempo: passa, e noi non possiamo fermare questo processo”, dice lo sceicco Hassan Khalafala, un uomo di 78 anni che vive nel villaggio di Rashda, a Dakhla. “Quindi no, questo non mi rende triste. Cosa ci posso fare? • cb

Jack Shenker è il corrispondente dall’Egitto del quotidiano britannico The Guardian.