Abido: vivere e morire all’alba dell’antica civiltà egizia - Di John Galvin - Fotografie di Kenneth Garrett - National Geographic Italia - Aprile 2005
AHA IL GUERRIERO non fu ucciso nel corso delle guerre per l'unificazione dei due regni del Nilo. Né cadde durante la costruzione della capitale, Menfi. No, secondo la leggenda il primo sovrano dell'Egitto unificato morì per un incidente di caccia dopo un regno durato 62 anni, ingloriosamente calpestato a morte da un ippopotamo.
La notizia della sua dipartita fece serpeggiare il terrore tra i suoi cortigiani: per molti l'onore di servire il re in vita avrebbe comportato il meno ambito privilegio di servirlo da morto. Il giorno della sepoltura di Aha una solenne processione attraversò i recinti sacri di Abido, la necropoli dei primi re d'Egitto. Aperto da sacerdoti in fluenti abiti bianchi, il corteo funebre comprendeva la famiglia reale, il visir, il tesoriere, i funzionari commerciali e fiscali e il successore di Aha, Djer. La processione si fermò appena oltre le porte della città, presso una struttura monumentale con imponenti mura di mattoni che circondavano uno spiazzo aperto. All'interno delle mura i sacerdoti superarono una nube d'incenso per giungere a una piccola cappella, dove celebrarono dei riti esoterici per suggellare l'immortalità di Aha.
All'esterno, disposte attorno alle mura del recinto, vi sono sei tombe. In un estremo atto di devozione, o coercizione, sei persone furono avvelenate e sepolte con vino e cibo da portare con sé nell'aldilà. Uno dei sacrificati era un bambino di quattro o cinque anni, forse il figlio o la figlia prediletti del re, adornato con braccialetti d'avorio e collane di lapislazzuli. Poi la processione si diresse verso il tramonto, attraversando dune di sabbia e risalendo il letto asciutto di un fiume fino a un cimitero isolato, alla base di un altopiano desertico. Qui la tomba di Aha, composta da tre camere, fu rifornita di tutto quanto gli sarebbe servito per una sontuosa vita eterna. Vi erano grandi tagli di carne di bue, uccelli acquatici appena uccisi, pagnotte, formaggio, fichi secchi, giare di birra e decine di vasi di vino, ciascuno con il sigillo ufficiale di Aha. Accanto alla sua tomba ne erano state create altre 30, disposte su tre file. Vari leoni furono uccisi e deposti in un apposito pozzo funebre. Il corpo di Aha fu calato in una camera mortuaria: fu a quel punto che anche un gruppo selezionato di cortigiani e schiavi si avvelenò per raggiungere il re nell'aldilà.
È davvero così che si svolgeva il funerale di un faraone nel 2900 a.C.? Secondo gli esperti, è uno scenario plausibile. Gli archeologi hanno setacciato le sabbie di Abido per oltre un secolo; ora hanno trovato prove convincenti del fatto che gli antichi Egizi praticavano sacrifici umani, gettando una luce nuova su una delle grandi civiltà del mondo antico.
«YELLAH! YELLAH, YELLAH!», abbaia Ibrahim Mohammed Ali, il sovrintendente egiziano, per incitare i suoi operai a darsi da fare. «Siete dei grassi bufali d'acqua!». I ragazzi, perlopiù adolescenti, che trasportano i secchi di sabbia ridacchiano nervosamente, ma aumentano il ritmo senza perdere d'occhio il caposquadra, che nel frattempo non ha mai smesso di urlare. «Chiacchierate più di un branco di donne!». Ibrahim, in galabia fluttuante e turbante bianco, sembra uno stregone in grado di vaporizzare gli scansafatiche con un incantesimo lanciato dalla lunga bacchetta che impugna dietro la schiena. Le 125 persone agli ordini di Ibrahim lavorano con una squadra di archeologi per portare alla luce una parte dell'immensa necropoli reale di Abido, a 420 chilometri dal Cairo risalendo il corso del Nilo. Mentre una fila di operai usa i tureyas simili a zappe per raschiare la sabbia, i cosiddetti "ragazzi dei secchi" portano via carichi di terra che versano come acqua in grembo ai setacciatori. Gli scavatori si danno da fare con le palette, i topografi tracciano le coordinate dei manufatti, un fotografo documenta ogni nuovo reperto e gli illustratori disegnano a matita un'antica bara e lo scheletro di un bambino.
Inginocchiato al centro di questo sciame operoso c'è Matthew Adams, direttore associato di un progetto pluriennale sponsorizzato dal Museo della University of Pennsylvania, dalla Yale University e dall'Institute of Fine Arts della New York University. Adams sta spennellando via la sabbia per rivelare un pavimento di fango liscio. «Se risale all'epoca di Aha», dice con la voce arrochita da mesi passati nel deserto, «vuol dire che è la più antica cinta funeraria mai scoperta in Egitto. Parliamo dell'alba della storia egizia».
Da Abido giungono molti dei più antichi manufatti egiziani. Nel 1988 Gùnter Dreyer, un archeologo tedesco, portò alla luce delle tavolette d'osso e avorio che riportavano incise una delle più antiche forme di scrittura al mondo: grezzi geroglifici risalenti più o meno all'epoca della scrittura cuneiforme mesopotamica. Nel 1991 il mentore di Adams, nonché direttore del progetto, David O'Connor, scoprì una bizzarra flotta di navi di legno. Attualmente gli scavi di O'Connor e Adams riguardano l'inizio della I dinastia egiziana, un periodo chiave in cui i re posero le basi della religione, del governo e dell'architettura per i 3000 anni a seguire. A differenza delle colossali piramidi dei faraoni di epoca successiva, i più modesti complessi funerari dei re di Abido erano composti da due strutture indipendenti: una tomba e un recinto cerimoniale. Queste grandi cinte murarie in cui venivano celebrati i riti si trovavano ai confini della città, mentre le tombe sotterranee erano collocate a più di un chilometro oltre le porte del desolato Deserto Occidentale, un luogo che gli antichi Egizi consideravano la terra dei morti.
Tutte le tombe della I dinastia e la maggior parte dei recinti portati alla luce finora sono accompagnati da varie tombe secondarie (in alcuni casi addirittura centinaia) che contengono i resti di funzionari d'alto rango. L'idea che queste tombe potessero ospitare le vittime di sacrifici non è nuova, ma per gli egittologi era anche possibile che potesse trattarsi semplicemente di sepolcri riservati ai cortigiani del re, preparati per accoglierli il giorno in cui questi personaggi fossero morti per cause naturali.
È dalla fine dell'Ottocento che gli archeologi si interrogano sulla possibilità che gli antichi Egizi praticassero sacrifici umani. Nel 1902, il francese Émile Amélineau e il suo rivale inglese Sir Flinders Petrie avevano già scavato tutte le tombe della I dinastia nel deserto. Erano state saccheggiate già in tempi antichi e quindi non vi furono trovati resti regali, a parte un braccio ornato di gioielli. Re-stava però ancora molto da scoprire. Nella tomba di Aha si trovarono i resti di decine di vasi di vino, utensili, alcuni gioielli e tracce di cibo. Accanto alla tomba Petrie scoprì 35 sepolcri secondari, a cui diede il nome di Grande Cimitero dei Domestici. Pur non soffermandosi su questa ipotesi nei saggi che pubblicò, l'archeologo accennò a possibili sacrifici umani. Più di recente, negli anni Ottanta, un gruppo di archeologi tedeschi scoprì i resti di almeno sette giovani leoni.
L'unica cinta funeraria giunta fino all'epoca di Petrie era il massiccio Shunet el-Zebib, risalente a 4600 anni fa e costruito dal re della II dinastia Khasekhemwy. L'imponente shuneh (magazzino), con le sue mura alte tre piani che racchiudono un et-taro di spazio, domina ancora oggi il paesaggio.
Due colleghi di Petrie scoprirono un'altra cinta della II dinastia, costruita da re Peribsen, mentre Petrie tornò negli anni Venti e trovò centinaia di tombe secondarie. I sepolcri circondavano tre cinte risalenti alla I dinastia, ma stranamente Petrie ne trovò solamente una.
Queste scoperte indussero i primi archeologi a credere di avere risolto solo metà del rompicapo di Abido, e che per ciascuna tomba che avevano portato alla luce nel deserto vi dovesse essere una cinta ancora nascosta ai confini della città.
Nel 1967 David O'Connor si recò ad Abido per cercare, tra le altre cose, le cinte funerarie che erano sfuggite a Petrie. Quasi vent'anni dopo, scavando ai piedi dello shuneh, fece una scoperta del tutto inaspettata. «Aprii un pozzo di scavo e in un angolo vidi un oggetto sporgente», ricorda O'Connor. «Sapevo che doveva trattarsi di qualcosa che risaliva alle prime dinastie, ma non sapevo cosa potesse essere». Con grande stupore di O'Connor, l"oggetto sporgente" si rivelò essere una delle 14 antiche navi, sepolte ciascuna nella propria tomba rinforzata con mattoni accanto alla cinta di un re ancora senza nome. Le navi, lunghe fino a 27 metri, erano state realizzate da mani esperte ed erano perfettamente funzionanti all'e-poca dell'interramento: si sarebbero rivelate le più antiche imbarcazioni costruite con tavole (anziché con canne o tronchi scavati) giunte fino a noi. «Le navi sono come i servi sepolti ad Abido», dice O'Connor. «Il re pensava di usarle nell'aldilà come le aveva usate prima di morire». Quando era in vita le navi consentivano al re di spostarsi rapidamente su e giù per il Nilo facendo grande sfoggio di ricchezza e potenza militare. Poiché i re egizi si aspettavano di essere tali anche nell'aldilà, le navi sarebbero state loro di grande utilità.