Il falco, il serpente e il coccodrillo sono stati ritenuti animali sacri nell'antico Egitto, ma la popolarità e venerazione verso il gatto ha superato quella per qualsiasi altro animale. Il gatto era l'animale più diffuso fin dall'antichità e la sua fama crebbe nel tempo facendolo passare da animale sacro a vera e propria divinità, il suo culto si estese ben oltre i suoi confini dell'Egitto.
L'esistenza del culto della dea Bastet [BASTET, BAST - Divinità egizie], è ricordato in documenti che risalgono al 3000 a.C, questo felino fu anche chiamato Bast, Pakhet, Ubastet, Ubasti e nei Testi delle Piramidi è noto come Mafdet, divinità rappresentata mentre uccide un serpente con i suoi artigli.
I testi più antichi descrivono Bastet come la figlia del Dio del sole Ra, creata insieme alla sua gemella malvagia la dea Sekhmet, tali documenti raccontano che fu proprio per l'intervento di Ra che la forza distruttrice di Sekhmet si placò divenendo, insieme a Bastet, l'equilibrio delle forze della natura.
Seguendo l'influenza greca Bastet fu paragonava ad Artemide, avendone caratteristiche simili come la protezione per la famiglia, fu così trasformata da divinità solare a lunare, identificandola come figlia di Iside ed Osiride. Venne rappresentata con il corpo di donna e la testa di gatto e nella sua mano sinistra veniva raffigurato spesso un amuleto a forma di occhio detto l'Udjat “occhio di Ra” avente forti poteri magici, questo talismano veniva riprodotto anche nelle decorazioni all'interno dei templi e delle case come protezione da malattie, rapine ed infortuni ...tutt'ora se viene portato al collo si dice che protegga i viaggiatori.
Fu amata così tanto da divenire per gli egiziani la dea protettrice della famiglia, dei bambini, delle donne, della danza, del sorgere del sole e divinità che forniva la protezione contro le forze maligne e le malattie.
Testimonianze di templi dedicati al culto della dea gatto si trovano in tutto l'Egitto, ma la città sacra di Bastet [BASTET, BAST - Divinità egizie] è Bubastis, località vicino all'attuale città di Zagazig, dove il 31 ottobre di ogni anno si svolgeva un'importante festa in suo onore del quale si trova traccia nel testo dello storico greco Erodoto (Storie – libro II cap. 60).
Una leggenda racconta che Bastet, morsa da uno scorpione, fu guarita da Ra:
“Ra infuriato, provocò una siccità, quando si fu calmato, mandò Thot a cercare Bastet in Nubia, dove lei si era nascosta sotto forma della dea leonessa Sekhmet. Navigando il Nilo, Bastet si era bagnata nel fiume in una città sacra a Iside, trasformandosi di nuovo in gatta entrando a Bubastis, la città dei gatti, fu trovata da Thot … per molti secoli gli egiziani hanno ripercorso il suo viaggio in venerazione dei gatti e della dea Bastet”.
La gatta era assimilata alla luna: come nei gatti le pupille nel buio della notte subiscono grandi variazioni così venivano paragonati ai cicli lunari.
Scrive in proposito Edward Topsell (Topsell's Histories of Beasts):
“Gli Egizi hanno osservato negli occhi di una gatta le varie fasi lunari perché con la sua luna piena splendono di più mentre la loro luminosità diminuisce con la luna calante e il gatto maschio muta l'aspetto dei suoi occhi in relazione al sole, infatti quando il sole sorge la sua pupilla si allunga, verso mezzogiorno si arrotonda e la sera non si vede affatto e sembra che l'intero occhio sia omogeneo”.
Alcuni versi tratti dai geroglifici del tempio di Dendera confermano il legame di Bastet con Iside, si legge:
“Quando la vide, sua madre Nut le disse, sii leggera per tua madre, Tu sei più vecchia di tua madre perchè il tuo nome è stato Iside” .
Nella VI dinastia, il faraone Pepi I fece costruire nel suo santuario una cappella dedicata a Bastet, e anche la grande regina Hatshepsut fece scavare un santuario in onore della dea gatto nei pressi di Beni Hassan.
Il gatto quindi venne ritenuto sacro al sole e ad Osiride, la gatta invece consacrata alla luna e ad Iside. Un brano tratto dal “Le settantacinque lodi di RA” 1700 a.C. recita:
“Lode a te, o Ra, glorioso dio-leone, tu sei il grande gatto, il vendicatore degli dei e il giudice delle parole, il presidente dei sovrani e il governatore del sacro cerchio, tu sei il corpo del grande gatto”.
Gli Egizi chiamarono il gatto Myou, conferendogli da prima un ruolo di porta fortuna, riconoscendogli una natura amabile e disponibile, lo introdussero successivamente nella vita quotidiana di tutte le famiglie, con il compito di proteggere le provviste alimentari dai roditori e serpenti velenosi.
Si sono trovate decorazioni tombali che provano che i gatti venivano portati dagli egiziani nelle paludi per recuperare le anatre cacciate, ma l'amore per questi felini si spinge oltre portando alcuni genitori a dare il nome dei gatti (Myoun... Mit... Mirt... Miut) alle proprie figlie femmine. E' stata ritrovata a Deir el Bahri nel tempio del re Mentuhotep una mummia di una bambina di 5 anni dal nome Mirt.
Immagini dei gatti comparvero anche su oggetti di vita quotidiana, gioielli, braccialetti d'oro, amuleti e anelli ma il gatto fu anche rappresentato in moltissime statue in bronzo destinate per lo più a scopi funerari.
La gran parte delle statuette aveva le orecchie forate con orecchini d'oro o d'argento e occhi intarsiati di pietre semi preziose.
Dei gatti Erodoto scrive: “E quando scoppia un incendio, ai gatti succede qualcosa di veramente strano, gli Egiziani lo circondano tutt'intorno pensando più ai gatti che a domarlo, ma gli animali scivolano sotto o saltano sugli uomini e si gettano tra le fiamme. Quando questo succede, in Egitto è lutto nazionale, gli abitanti di una casa dove un gatto è morto di morte naturale si radono le sopracciglia, i gatti vengono portati in edifici sacri dove vengono imbalsamati e seppelliti nella città di Bubasti.”
Da scavi archeologici nelle rovine di Tell Basta (nome attuale di Bubastis) è stato ritrovato un grandissimo cimitero di gatti mummificati, infatti questi felini subivano lo stesso processo di imbalsamazione delle mummie reali, poi bendati con gli arti distesi e seppelliti con vicino ciotole per il latte e oggetti che ne garantivano la sopravvivenza nell'aldilà.
Il gatto di colore nero era il prediletto perché associato al colore della notte e al colore nero del limo portatore di fertilità e rinascita dopo le inondazione del Nilo.
Infine anche nell'Islam si trova traccia del gatto:
Si narra che Maometto, intento a leggere con un braccio allungato sul tavolo, fu avvicinato da un gatto che gli si sdraiò sulla manica della sua tunica, arrivata l'ora della preghiera Maometto guardando dormire beatamente il gatto non volle svegliarlo credendo che il felino stesse, nel suo sonno, comunicando con Dio (Allah). Preferì quindi tagliarsi la manica della tunica per andare a pregare. Al ritorno dalla preghiera il gatto, riconoscente gli fece tante fusa e Maometto commosso gli riservò un posto in paradiso ponendogli per 3 volte le mani sulla schiena gli donò la capacità di cadere sempre sulle zampe senza farsi male.
Fonti:
“Il gatto. Magia e mistero di un disegno divino” (Pavan) “Il gatto nell'Antico Egitto” (Jaromìr Màlek)
Articolo a cura di Silvia B.
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