Ben poco ci è rimasto di quanto fu scritto sull'Egitto nei secoli seguenti. Non si ricordano autori degni di nota fino a Platone (428-347 a.C.) che nelle sue opere fornisce incidentalmente notizie non prive di valore; egli non ignora, per esempio, il nome della dea Néith di Sais e sa precisare quali erano gli attributi di Thòth, dio delle lettere, della scienza e dell'astronomia, nonché inventore del gioco della dama. Dal momento che qui ci interessano soprattutto gli autori di cui sopravvivono le opere complete, possiamo tralasciare le notizie disseminate negli scarsi frammenti di scrittori del secolo IV a.C., come Ecateo di Abdera. Dopo Alessandro Magno i coloni greci che sotto i Tolomei si riversarono in Egitto erano troppo assorbiti dal commercio e dall'agricoltura per interessarsi agli esotici costumi dei propri vicini indigeni. Un resoconto dell'Egitto più lungo, ma assai meno importante di quello di Erodoto, ci è pervenuto da un autore dell'epoca di Giulio Cesare, e cioè dal greco Diodoro Siculo che soggiornò per breve tempo in Egitto attorno al 59 a.C. Alcuni fatti da lui citati nel libro I della storia universale furono appresi per esperienza diretta, tuttavia le sue fonti principali sono gli scrittori che lo hanno preceduto, come il già ricordato Ecateo di Abdera (vissuto intorno al 320 a.C.) e il geografo e storico Agatarchide di Cnido (secolo II a.C.). Diodoro, pur unendosi al coro di critiche contro Erodoto, non poté evitare di valersi ampiamente delle Storie. I due autori trattano pressappoco i medesimi argomenti, ma ciascuno riferisce fatti omessi dall'altro. Dal punto di vista letterario sono ai poli opposti. Diodoro non possiede affatto quella capacità di creare personaggi con pochi tratti e quel gusto per l'aneddoto divertente che sono il pregio dell'opera di Erodoto. E uno scrittore metodico, lento, monotono, facile da analizzare, ma noioso da leggere. Un breve schizzo della cosmogonia conduce a un'esposizione della concezione che ne avevano gli Egizi e della sua base nelle opere degli dèi; molto spazio è dedicato al dio Osiride. Purtroppo però i numerosi particolari autentici e per noi preziosi si accompagnano a una narrazione delle imprese militari del dio, molto lontana dallo spirito egizio. Segue una documentazione completamente falsa sulle colonie egizie in Babilonia, in Colchide e in Grecia. L'autore si dilunga sulla geografia dell'Egitto, il suo fiume, la flora e la fauna, per concludere con una complicata discussione sulle cause delle inondazioni. Quindi, dopo un breve paragrafo dedicato all'alimentazione degli Egizi, Diodoro passa alla loro storia. Ménàs (Ménés) è ricordato come il primo sovrano, mentre il regno dei cinquantadue successori viene liquidato sbrigativamente come non segnato da avvenimenti degni di nota. Facciamo poi conoscenza con un non meglio identificato Busiride, mitico fondatore di Tebe, città di cui viene data un'ampia descrizione culminante con quella, di notevole precisione rispetto al livello storico, dell'epoca del monumento di Osymandyas (Ramessés II), ora noto col nome di Ramesseum. Posponendo la fondazione di Memfi a quella di Tebe e al regno di Osymandyas, Diodoro inverte l'ordine reale dei fatti, e in effetti tutta la prolissa trattazione del periodo storico più antico, sebbene corredata da numerosi nomi citati più o meno esatti, è ancor più vistosamente errata di quella di Erodoto nella successione cronologica degli avvenimenti. Uno spazio eccessivo è dedicato alle imprese di Sesoòsis (Sesòstris), di cui abbiamo già parlato. Di grande interesse sono gli ultimi trenta paragrafi del primo libro che trattano i più disparati argomenti: i rituali che regolano la vita dei sovrani, l'amministrazione delle province e il sistema delle caste, la giustizia e le leggi, l'educazione, la medicina, il culto degli animali, i riti funebri, il culto dei defunti, e, infine, il debito della Grecia verso l'Egitto. Ma è solo nel racconto degli avvenimenti dei secoli V e IV a.C. che l'opera di Diodoro si fa veramente indispensabile per lo studioso e che regge il confronto con quelle di Tucidide e Senofonte per autorevolezza storica. Gran parte di quello ch'egli riferisce sulle epoche più antiche non può esser controllato confrontandolo con altre fonti, e tutta l'opera, essendo più che altro una compilazione, è di valore assai disuguale.
Anche qui come per tutti gli scrittori dell'antichità classica, ci troviamo di fronte a un dilemma: quando un particolare della narrazione è confermato da attendibili testimonianze desunte da altre fonti diventa in certo modo superfluo, ma se una simile testimonianza non esiste la nostra fiducia nell'autore non basta a convincerci.
Una parziale eccezione a questa regola generale si dovrà fare per Strabone, scrittore di lingua greca nativo del Ponto, che visse alcuni anni ad Alessandria e accompagnò Elio Gallo, prefetto romano e suo amico fino alla prima cateratta, probabilmente nel 25-24 a.C. La trattazione dell'Egitto di Strabone è relativamente breve e fa parte del XVII e ultimo libro delle sue Geógraphika, per quanto cenni sul medesimo paese si trovino dispersi in altre parti dell'opera. Egli inizia con una breve dissertazione sul Nilo e continua con una lunga descrizione di Alessandria e della regione a oriente della città. La sua indagine prosegue quindi in ordine topografico. I nomi e le città del delta sono trattati con ampiezza di particolari, e il rilievo che dà al Basso Egitto è molto importante in quanto scarsi sono i documenti indigeni e i monumenti che ne rimangono. L'attenzione di Strabone non è rivolta esclusivamente alla geografia e, insieme a qualche digressione di carattere storico, egli non tralascia di fornirci interessanti notizie sui culti, sugli edifici e su altri argomenti importanti. Una testimonianza dell'accuratezza di Strabone è la descrizione del pozzo di Abido, "che si trova a grande profondità, di modo che per giungervi si scende attraverso gallerie a volta formate da monoliti che stupiscono per le loro dimensioni e per l'abilità dei costruttori"; questo passo si riferisce evidentemente al bacino scoperto da Naville nel cosiddetto cenotafio di Sethòs I. {mospagebreak} Strabone è il primo a parlare della statua sonora di Memnone a Tebe, una delle due colossali figure sedute che esistono ancor oggi nella piana a occidente di Luxor che all'alba emetteva un suono udito da molti illustri visitatori greci e romani Egli ci descrive anche il Nilometro di Elefantina, un esemplare particolarmente famoso nel suo genere, consistente in una sorta di scala sulle cui pareti veniva segnato ogni anno il livello massimo raggiunto dalla piena del Nilo. Le notizie storiche e quelle sulle usanze religiose vanno naturalmente vagliate con la medesima cautela raccomandata per gli scrittori già citati, ma dal punto di vista puramente geografico l'opera di Strabone è del tutto attendibile. Entro i confini dell'Egitto moderno, cioè fino alla frontiera sudanese, una ventina di miglia a nord dello Wadi Halfa, egli nomina circa novantanove città e altri centri minori, molti dei quali sono localizzabili con una certa sicurezza. Concludendo, osserviamo che Strabone fu scrittore vivace e non privo di abilità.