Comunque siano andate esattamente le cose, sembra proprio che per imporre un unico monarca sul trono d'Egitto sia stato sparso del sangue.
Il primo faraone – quanto meno il primo la cui esistenza sia storicamente documentata – che regnò sul paese unificato è Narmer, un guerriero che veniva dal sud, forse colui che avrebbe ispirato la figura del leggendario Menes. Una tavoletta cerimoniale di pietra, oggi custodita nel Museo del Cairo, mostra Narmer nel preciso istante del suo trionfo. Seguito dal suo porta sandali e con l'inconfondibile corona bianca dell'Alto Egitto sul capo, Narmer è ritratto nell'atto dell'uccisione rituale.
Nella mano destra brandisce una mazza, mentre con la sinistra afferra i capelli di un nemico ignobile prostrato ai suoi piedi. Il nemico, che rappresenta tutti gli avversari dell'Egitto, comprende di non potersi aspettare alcuna pietà; è noto che il faraone è spietato nell'eliminare i nemici. [La Paletta di Narmer]
La parte posteriore della tavoletta mostra invece una scena solo relativamente più pacifica. Narmer, che qui sfoggia la corona rossa del Basso Egitto ed è come sempre accompagnato dal suo leale porta sandali, marcia alla testa di uno squadrone di soldati i cui elaborati stendardi potrebbero rappresentare i simboli delle province appena unificate. Davanti a loro giacciono le vittime della guerra: sono decapitate e le teste sono ordinatamente sistemate tra le loro ginocchia.

Insieme all'unificazione dell'Egitto compaiono i primi scritti e da questo momento in poi assistiamo all'abitudine tipicamente egiziana di usare gli anni di regno dei vari faraoni per datare gli avvenimenti importanti. Così, tanto per fare un esempio, una delle più famose battaglie dell'Età del Bronzo, la battaglia di Kadesh, sia per gli antichi egizi che per i moderni egittologi viene collocata nel "quinto anno del regno di Ramses II", e tutti capiscono esattamente che cosa si intende con questa data. Quando però si cerca di trasferire il "quinto anno del regno di Ramses II" nell'attuale sistema di datazione ecco che immediatamente ci si trova di fronte a interminabili discussioni accademiche: Ramses II è vissuto dal 1279 al 1213 a.C., o dal 1290 al 1224?
Nei templi e nelle tombe di Saqqara e di Abydos troviamo elenchi di faraoni che coprono un arco di tempo vastissimo: dal Nuovo Regno fino ai primi anni del Periodo Protodinastico. Gli storici sono poi riusciti a estendere ulteriormente queste tabelle, cosicché attualmente possiamo disporre di un elenco di monarchi egiziani, che abbraccia circa tremila anni, e della cui esattezza siamo ragionevolmente sicuri.
Per convenzione, questo elenco è suddiviso in gruppi, o dinastie, di faraoni imparentati tra di loro. Si va dalla I Dinastia, al momento dell'unificazione dell'Alto e Basso Egitto, per arrivare alla XXXI Dinastia, che coincide con l'arrivo di Alessandro Magno. Le Dinastie vengono poi raggruppate in Regni (periodi in cui il governo centrale controllava saldamente il paese), Periodi Intermedi (epoche in cui il governo centrale era debole) e la confusa e sotto certi aspetti persino ignominiosa Età Tarda, che vede la fine del Periodo Dinastico.

Quello che viene comunemente chiamato Periodo Arcaico dell'unificazione fu seguito dall'Antico Regno, un'epoca caratterizzata da un rigido regime feudale. Il re era ormai considerato l'unico e legittimo padrone del territorio e dei suoi abitanti, il che gli conferiva il diritto di disporre del lavoro dei suoi sudditi come e quando voleva.
Essendo considerato un essere semidivino, il faraone costituiva l'unica possibilità di collegamento tra i mortali e il panteon statale, l'insieme di divinità il cui culto, iniziato su base locale nel periodo predinastico, aveva finito con l'imporsi a livello nazionale.
Il faraone era così diventato il sommo sacerdote di ogni singola divinità e, sebbene avesse la possibilità di servirsi di una casta di sacerdoti che lo assistessero nell'adempimento dei propri compiti, tecnicamente era il solo che potesse far sì che le offerte fossero gradite agli dei. Il suo ruolo era quello di rappresentante del suo popolo davanti agli dei, e di rappresentante degli dei davanti al suo popolo.

Dopo la morte, il suo spirito poteva lasciare la tomba per continuare a vivere in cielo come una stella o per navigare sulla barca solare di Ra. C'era però qualcosa di ancora più importante: al faraone spettava la terribile necessità di mantenere maat, la condizione di diritto o status quo, il segno che in Egitto tutto funzionava correttamente e tutti agivano nel modo dovuto. Questo concetto di maat [MAAT - La verità - Divinità astratta dell'antico Egitto], vale a dire la necessità, universalmente percepita, di mantenere le cose in un'immutabile condizione di ordine al fine di evitare il temuto stato di caos, era destinato a durare per tutto il Periodo Dinastico, rafforzando ulteriormente l'autorità. Tutti sapevano che un Egitto senza faraone avrebbe rappresentato un pericoloso affronto a maat: il re era dunque essenziale per la vita e la prosperità dell'Egitto.

In questo periodo l'intero Egitto era governato da nord: Menfi ne era la capitale amministrativa, mentre Saqqara e Giza erano le necropoli reali. Un gruppo scelto di funzionari di corte, composto da membri dell'élite egiziana per altro tutti imparentati tra di loro, affiancava il faraone nell'esercizio del potere, mentre nelle province i governatori locali o nomarchi mantenevano la responsabilità di un'efficiente amministrazione del proprio territorio, responsabilità che veniva loro per diritto ereditario. E questa l'epoca delle piramidi (comprese quelle della piana di Giza), quella in cui i seguaci di Ra, divinità solare del Basso Egitto, vollero costruire tombe regali che creassero un ponte materiale tra la terra e il cielo.

Le tombe, e la loro sicurezza, erano diventate estremamente importanti; infatti la teologia aveva ormai stabilito che la conservazione materiale del corpo del defunto era essenziale per la sopravvivenza dell'anima dopo la morte e già si stava sperimentando la mummificazione come mezzo per conservare i cadaveri. Quelle prime mummie, però, si decomponevano facilmente e ne rimangono ben poche a testimoniare le tappe di una tecnica ancora agli inizi. Fortunatamente, alcune mummie particolarmente robuste e di un Periodo Dinastico più recente sono riuscite a sfuggire all'attenzione di chi le avrebbe spogliate dei loro gioielli, avrebbe tolto loro le bende in una sorta di intrattenimento pubblico, le avrebbe bruciate come combustibile, ridotte in polvere per farne medicamenti, o addirittura spappolate per utilizzarle nella lavorazione di pitture o di carta da pacchi. Oggi si ritiene che queste mummie costituiscano un inestimabile patrimonio di dati biologici.

Comunque, se è vero che un re defunto aveva la possibilità di lasciare la propria tomba, i suoi sudditi erano invece condannati a passare tutta l'eternità nello spazio angusto delle loro tombe. E dunque del tutto comprensibile che chi se lo poteva permettere cercasse di rendere quella permanenza la più confortevole possibile, dotandola di tutti i lussi, compreso uno spazio più ampio, che potessero fargli comodo.

l corredo funerario era considerato indispensabile e sarebbe stato usato dall'anima del defunto dopo la morte. Sfortunatamente però tutti sapevano che le tombe dei nobili contenevano tesori inestimabili e ben presto il furto nelle tombe sarebbe diventata una vera e propria arte, sempre più perfezionata.
Soltanto le sepolture dei poveri, che venivano inumati con un corredo limitato, sfuggivano all'attenzione dei ladri.