Il Nilo e l'EgittoDopo aver ricevuto le acque del lago Tana, il fiume Nilo scorre in direzione nord per 4.800 chilometri prima di suddividersi in una miriade di bracci, che formano il Delta, e poi sfociare nel mar Mediterraneo. Quando dista circa un migliaio di chilometri dal termine del suo lungo viaggio, il grande fiume passa attraverso una serie di cateratte ed entra nell'Antico Regno d'Egitto, portando le sue acque preziose a un territorio che altrimenti sarebbe del tutto arido e desolato, e depositando lungo le rive il fertile limo.

Nascita e morte di una civiltà

(breve sintesi della storia dell’antico Egitto) - Dall’ottimo libro di Joyce Tyldesley “Vita privata dei faraoni” - Edizioni PIEMME – 304 pag. €17.56

Vita privata dei faraoniCosì, nei tremila anni del Periodo Dinastico (dal 3100 a.C. circa al 332 a.C.), il Nilo costituì non soltanto la riserva d'acqua dell'intero paese, ma il principale canale di scarico e la "superstrada" più importante, l'arteria vitale che univa le città e i villaggi di questa striscia di terra sottile e lunghissima.
La fortunata combinazione di un fiume che scorre verso nord e di brezze che soffiano verso sud, rendendo il trasporto fluviale quanto mai semplice e agevole, fece si che gli antichi egizi non avessero alcun bisogno di investire risorse nella costruzione di una rete di strade che coprisse il territorio dell'intero paese. Non solo, ma il limo depositato dal fiume oltre a consentire lo sviluppo dell'agricoltura offriva anche materiale da costruzione abbondante e facilmente accessibile: per migliaia di anni gli architetti egiziani usarono dunque mattoni di fango essiccati al sole, riservando la pietra, costosa e poco maneggevole, quasi esclusivamente per la costruzione di templi e tombe monumentali.
Quando, verso la fine del Periodo Dinastico, ebbe modo di visitare l'Egitto, lo storico greco Erodoto comprese appieno questa realtà: «L'Egitto – scrisse – è il dono del Nilo». Ed è una frase che viene citata assai spesso.
In effetti, lungo la valle del Nilo, la civiltà si era sviluppata lentamente ma stabilmente. Fin da epoche remote il fiume, unica fonte idrica su cui fare affidamento per centinaia di chilometri, aveva attratto sia i primi cacciatori pescatori raccoglitori che le loro prede, e gli archeologi hanno trovato le tracce della loro lontana presenza sotto forma di utensili di pietra che risalgono a parecchie centinaia di migliaia di anni fa.

Infine, nel corso del sesto millennio prima della nascita di Cristo, arrivarono i primi gruppi di agricoltori stanziali. Sfruttando appieno la sottile striscia di terreno fertile stretto tra le acque del fiume e le sabbie del deserto, i nuovi agricoltori poterono integrare la loro dieta con grano e orzo, e impararono a fabbricare vasi di argilla e cestini di vimini in cui conservare le eccedenze.

Sorsero così i primi villaggi, poi si svilupparono paesi e città: i loro abitanti vivevano in case ben costruite, fatte con strutture di canne e mattoni di fango, ma collegate da strade tortuose, certamente non frutto di pianificazione.
Ogni città o villaggio adorava la propria divinità: un dio o una dea che forniva una spiegazione convincente per gli altrimenti inesplicabili traumi della vita di ogni giorno. In questo periodo abitualmente, anche se non sempre, i morti venivano sepolti in cimiteri appositamente predisposti, situati lontano dalle abitazioni dei vivi.

Ed è proprio in queste necropoli che, essendosi ormai diffusa l'usanza di dotare i defunti di beni materiali, gli archeologi hanno trovato le testimonianze di un'epoca di maggior benessere: i morti erano ora avvolti in stuoie o in pelli di animali, ed erano muniti di gioielli e di ornamenti vari, di aghi e di pettini. Si direbbe dunque che anche gli egiziani del periodo arcaico sentissero il bisogno di entrare nell'altra vita ben equipaggiati e con i generi di lusso di cui avevano potuto disporre in questa vita. A rigore, la storia dell'Egitto inizia con l'unificazione, avvenuta nel 3100 a.C. circa, quando le numerose città-stato e le comunità agricole che gravitavano nella loro orbita si unirono formando un unico regno, lungo e stretto, che andava dalla regione del Delta, a nord, fino ad Aswan, a sud. Questo nuovo stato era governato da un unico, ed onnipotente, re o faraone.
Sfortunatamente, la storia del prode Menes che alla testa del suo esercito marcia inesorabile e vittorioso verso nord fino a conquistarsi la corona ha ben poche probabilità di essere vera. L'unificazione fu certamente un processo lungo e complesso, durante il quale le comunità indipendenti soltanto gradualmente si resero conto dei vantaggi della reciproca unione, finché a un certo punto si formarono due distinti centri di potere: il nord, o Basso Egitto, che comprendeva anche la regione del Delta, e il sud, o Alto Egitto. Questa divisione tra il nord e il sud era comunque destinata ad avere un ruolo importante nella storia successiva, quella dell'Egitto dinastico. Al contrario, l'irrigazione, spesso citata come forza unificante, forse ebbe un ruolo assai meno significativo di quanto potremmo aspettarci. E indubbio che il controllo efficiente del territorio e delle risorse idriche fu sempre ritenuto importante, e infatti la costruzione di canali, dighe e argini era considerata un'opera la cui realizzazione spettava allo stato. Tuttavia, l'Egitto, grazie alle sue abbondanti risorse naturali, non dovette mai affrontare pressioni demografiche analoghe a quelle di altri stati emergenti che fin dall'inizio della loro esistenza furono costretti a regolare strettamente le proprie risorse idriche.

Il corso del NiloL'unica, ma abbondante, inondazione annuale rendeva di fatto inutile programmare a livello nazionale qualsiasi piano di irrigazione artificiale. Ogni anno, nella lontana Etiopia e nelle foreste dell'Africa nera le piogge estive ingrossavano il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro, dalla cui confluenza nasce il Nilo vero e proprio. Ma in Egitto, tutta quella massa d'acqua faceva sì che il fiume straripasse e allagasse la vallata. Se è vero che í cimiteri, al sicuro tra le sabbie del deserto, e le case di mattoni di fango, costruite prudentemente più in alto rispetto alla valle, rimanevano fortunatamente all'asciutto, i campi venivano però inondati dalle acque del fiume e gli agricoltori, non potendo compiere i consueti lavori agricoli, erano liberi di dedicarsi ad altre occupazioni. Dopo qualche tempo le acque finalmente si ritiravano, lasciando dietro di sé un terreno fertilissimo, ricco di acqua e di sostanze minerali, una serie di laghi da sfruttare nei mesi seguenti e, per di più, migliaia e migliaia di pesci arenatisi lungo tutto il corso del fiume che potevano facilmente essere raccolti, essiccati e salati, una scorta preziosa per far fronte a momenti meno favorevoli. Allora i contadini si mettevano al lavoro: in ottobre/novembre seminavano e in marzo raccoglievano un abbondante raccolto. A quel punto i campi potevano essere abbandonati e lasciati in balia dei cocenti, ma sterilizzanti, raggi solari; un periodo di riposo che assicurava l'eliminazione di parassiti e malattie. Se tutto andava bene, soltanto i campi più lontani dal fiume e i lussureggianti giardini che circondavano le ville dei ricchi avrebbero dovuto essere irrigati con lo shadoof, un secchio montato su di una leva con cui l'acqua dei canali artificiali veniva sollevata al livello dei campi. Se invece il Nilo non si comportava nel modo previsto – se cioè la piena era troppo abbondante o troppo scarsa – allora potevano esserci dei problemi.

Non per nulla il livello del fiume era costantemente monitorato per mezzo di speciali "nilometri" e i faraoni, prudentemente, immagazzinavano le eccedenze in grandi depositi, appositamente costruiti, per far fronte a eventuali carestie. Oggi, dopo la costruzione della grande diga di Aswan, il Nilo non straripa più. L'insolita geografia dell'Egitto contribuiva indubbiamente a focalizzare l'attenzione verso l'interno, verso il grande fiume e la sottile striscia di terreno fertile. Oltre la "Terra Nera" si estendeva la "Terra Rossa": chilometri e chilometri di deserto rovente, arido, inospitale, dove soltanto i morti e i rari e occasionali nomadi potevano trovare la propria dimora. E aldilà delle sabbie si innalzavano le alture che proteggevano l'Egitto da indesiderati visitatori. La successione che vedeva il passaggio dall'acqua, al terreno fertile, alla sabbia – dal divino, al vivente, a un paesaggio senza vita – costituiva pertanto una simmetria ovvia e immediata, che avrebbe avuto un ruolo importante nello sviluppo della teologia e della tradizione funeraria.

Ma l'Egitto non era soltanto un paese fertile, era anche ricco di pietre, di metalli preziosi, di fango e di papiro; solo la scarsità di legname poteva costituire un problema per la creazione di uno stato potente. Stando così le cose, per la maggior parte degli egiziani non c'era proprio alcuna necessità di avventurarsi oltre í confini sicuri e ordinati della loro valle. Era dunque inevitabile che per gli abitanti di quella valle, isolata e protetta, il mondo sconosciuto e incontrollato che si estendeva al di fuori dei suoi confini non potesse che apparire un luogo pericoloso e temibile. Persino nella meno isolata regione del Delta, che si affaccia sul Mediterraneo e che costituisce una sorta di ponte naturale verso il Vicino Oriente, si aveva una naturale tendenza a guardar verso l'interno piuttosto che verso l'esterno. E comunque importante non sopravvalutare questo isolamento geografico e culturale: è indubbio infatti che gli scambi commerciali con il Vicino Oriente siano stati molto importanti fin dagli inizi della storia egiziana. Eppure, per tutto il Periodo Dinastico, i forestieri — coloro che non ubbidivano al faraone — erano considerati inferiori, e le loro usanze, ovviamente diverse da quelle egiziane, erano oggetto di ben radicati sospetti. Questo atteggiamento ebbe poi un notevole influsso sull'arte e sull'artigianato egiziano, facendo sì che mantenessero un carattere profondamente conservatore, a tal punto che ancora oggi persino l'osservatore più sprovveduto riconosce a prima vista una pittura rinvenuta in una tomba egizia.

Il Nilo favorì non soltanto lo sviluppo della civiltà egiziana, ma anche la peculiare conservazione di ciò che è sopravvissuto ai millenni e che, come anche il più distratto visitatore di un qualsiasi museo ha modo di notare, è pesantemente influenzato dalla religione e dalla morte. Case e campi dovevano essere situati vicino al fiume dispensatore di vita; al contrario, tutte le altre costruzioni, di qualunque genere fossero, venivano innalzate sugli argini o sulle alture naturali che le avrebbero protette dall'inondazione annuale. Oggi quasi tutti questi siti in cui si dipanava la vita quotidiana dell'Egitto dinastico sono andati perduti, sepolti da fattorie e villaggi più recenti, mentre i mattoni di fango con cui erano stati innalzati si sono in gran parte dissolti nell'umidità del Nilo, cosicché rimangono soltanto le costruzioni in pietra — statue e templi.

Tebe, un tempo potente capitale del sud, è in gran parte scomparsa sotto la moderna Luxor e il passato splendore è oggi testimoniato quasi esclusivamente dai templi di Karnak e Luxor [Karnak-Tebe-Luxor]. Menfi, l'analoga capitale settentrionale, attualmente è costituita da una serie di villaggi moderni costruiti su antichi cumuli di modesta altezza, mentre soltanto il tempio in rovina di Ptah e una statua colossale di Ramses II, ormai a terra, lasciano intuire l'antica grandezza. La stessa capitale che Ramses si fece costruire nella regione del Delta, la magnifica Pi-Ramses, e che un tempo faceva sfoggio di uno splendido palazzo, di quattro o più templi, di caserme per l'esercito e di un fiorente porto, è scomparsa, tanto che dopo decenni di dotte discussioni gli archeologi sono riusciti a mala pena a mettersi d'accordo circa la sua posizione. In stridente contrasto, gran parte delle costruzioni dedicate ai defunti sopravvive tuttora tra le sabbie del deserto, la cui arida sterilità protegge manufatti e tessuti umani dall'umidità, dalla decomposizione e dalle conseguenze del moderno sviluppo.