Studio di fattibilità. Dopo anni di parole, l'8 luglio scorso, l'Anima (rete delle agenzie per la promozione degli investimenti nel Mediterraneo) ha diffuso sul suo sito web la notizia che la Banca Mondiale ha scelto, tra altri sei soggetti, la società francese Coyne e Bellier per effettuare lo studio di fattibilità del progetto del canale. Il finanziamento dello studio - che avrà una durata di due anni e costerà circa sette milioni di dollari - sarà garantito da Francia, Giappone, Stati Uniti d' America, Olanda e Grecia. La Banca Mondiale ha sempre sostenuto che al di là della missione imperativa di salvare il Mar Morto dall'evaporazione totale e di garantire acqua potabile ed elettricità a una zona che ha scarse risorse idriche, il progetto è un'opportunità di cooperazione. Lo studio sarà seguito, infatti, da un comitato tecnico che annovera al suo interno, oltre la Banca Mondiale, anche rappresentanti dei tre Paesi interessati: Autorità palestinese, Israele e Giordania. Da quelle parti non proprio qualcosa all'ordine del giorno.

La grande sete. Il Mar Morto perde ogni anno circa 80 centimetri di profondità e subisce un'evaporazione d'acqua di oltre mille tonnellate all'anno a causa dello sfruttamento intensivo delle acque del fiume Giordano, il suo principale affluente. La necessità di acqua potabile per le popolazioni dell'area è sempre più drammatica, ma gli ambientalisti insorgono perché il progetto potrebbe infliggere un colpo mortale all'ecosistema del Mar Rosso. Le stesse preoccupazioni denunciate, oggi, dal generale Fadel. Un grave rischio, ma la sete è un dramma. Grazie alla desalinizzazione, in parte dovuta alle acque dolci del Mar Rosso, in parte ottenuta da un impianto di desalinizzazione, sarà possibile ottenere circa un miliardo di metri cubi d'acqua potabile. Il problema vero, però, è che qualora l'iniziativa venisse realizzata si metterebbe a tacere uno dei più gravi crimini commessi da una potenza occupante (Israele) ai danni di una popolazione occupata (i palestinesi). Il governo israeliano, infatti, ha di fatti militarizzato l'accesso all'acqua potabile lasciando solo un quinto delle risorse idriche ai palestinesi mentre secondo le Nazioni Unite l'acqua del territorio dovrebbe essere divisa a metà. Come ha denunciato la stessa Banca Mondiale in un suo recente rapporto.