National Geographic Italia - Novembre 2009 Nel 1888, scavando nella sabbia vicino al villaggio di Istabl Antar, un contadino egiziano scoprì per caso una grande fossa comune. La fossa non conteneva resti umani, bensì un numero strabiliante di corpi di felini, gatti mummificati e sepolti da migliaia di anni. “Non qualche esemplare sparso”, riferì l'English Illustrated Magazine, "ma decine, centinaia, anzi centinaia di migliaia di felini … ".
Alcuni di questi gatti in fasce erano ancora presentabili; qualcuno aveva addirittura il muso in oro. I bambini del villaggio lasciarono ai turisti gli esemplari migliori per qualche spicciolo, gli altri furono venduti in blocco come concime. Una nave ne trasportò a Liverpool circa 180 mila (il peso si aggirava sulle 17 tonnellate) da spargere sui campi inglesi.
Era l'epoca in cui le spedizioni archeologiche, contando su ialiti finanziamenti, dragavano ettari di deserto alla ricerca di tombe regali, splendidi sarcofagi e maschere d'oro dipinte con cui abbellire ville e musei d'Europa e d'America. Le migliaia di animali mummificati scoperti nei siti sacri di tutto l'Egitto erano semplici scarti da eliminare per arrivare ai reperti “buoni”, cioè preziosi. A studiarli erano in pochi e in genere non se ne riconosceva l'importanza. Mentre cent'anni fa l'archeologia era considerata solo una caccia al trofeo, oggi è materia di studio. Gli addetti agli scavi si rendono conto che la ricchezza dei siti sta spesso nella miriade di particolari che si ricavano sulla gente comune, su ciò che faceva, quello in cui credeva, come pregava. E questa miniera di notizie è fornita in buona parte dalle mummie di animali.
«Esse sono davvero un'espressione della vita quotidiana», conferma 1'egittologa Salima Ikram. «Animali domestici, cibo, religione, morte: queste mummie ci parlano di tutto ciò che interessava gli Egizi». Specialista di archeologia zoologica, cioè dello studio dei resti di antichi animali, lkram ha contribuito a lanciare un nuovo filone di ricerca che si occupa di gatti e altri animali conservati con cura e perizia. Docente presso l'Università Americana del Cairo, Salima lkram ha adottato la collezione di mummie animali che stava languendo nel Museo Egizio cairota e ne ha fatto un progetto di ricerca. Inoltre, la studiosa ha creato una sala per la collezione, che rappresenta una sorta di ponte tra l'umanità odierna e quella antica: «Chi guarda questi animali può pensare: “però, il re Tal dei Tali aveva un animale domestico come ce l'ho io”: E da figure lontane 5.000 anni e più, gli antichi Egizi diventano persone in carne e ossa». Oggi quella delle mummie di animali è una li delle esposizioni più amate del museo, che pure è pieno di tesori. Nelle teche di vetro sono adagiati gatti fasciati in bende di lino disposte in modo da disegnare rombi, strisce, quadrati e reticoli, toporagni in urne di calcare scolpito, arieti nei loro involucri dorati adorni di perline, una gazzella avvolta in uno stuoino sbrindellato di papiro e talmente appiattita dalla mummificazione da sembrare un animale investito da un camion; un coccodrillo lungo cinque metri, sepolto con alcuni cuccioli di coccodrillo mummificati nella bocca; ibis, falchi, pesci, perfino minuscoli scarabei.
Alcuni di questi animali dovevano tenere compagnia al defunto nell'aldilà. Gli Egizi che potevano permetterselo si preparavano una tomba sfarzosa sperando che dopo la morte gli oggetti personali in essa custoditi, o ritratti nelle opere d'arte commissionate per l'occasione, fossero magicamente a loro disposizione. Dal 2950 a.c. Circa, i re della I dinastia furono sepolti nei complessi funerari di Abido assieme a cani, leoni e asini. Più di 2.500 anni dopo, un comune cittadino, Hapi-men, veniva deposto nella tomba insieme al cagnolino, acciambellato ai suoi piedi.
Venivano mummificate anche le provviste per i defunti. Si salavano, si essiccavano e si avvolgevano nel lino i tagli di manzo più pregiati, oche, anatre e piccioni. Salima Ikram definisce queste carni da portare nell'aldilà “mummie di vettovaglie”: «Anche se nella vita di tutti i giorni non si mangiavano, l'importante era disporne per l'eternità». Alcuni animali, invece, venivano mummificati perché erano i rappresentanti in Terra di una divinità. Intorno al 300 a.C., nel momento di massima espansione, la città di Menfi, capitale dell'Egitto per buona parte della sua storia antica, si estendeva su un'area di 50 chilometri quadrati e contava circa 250 mila abitanti.
Oggi la sua passata gloria giace perlopiù sotto il moderno villaggio di Mit Rahina e i campi circostanti. Ma lungo una stradina polverosa, seminascoste fra i ciuffi d'erba, si ergono le rovine di un tempio. Era qui che si imbalsamava il toro Api, uno degli anillali più idolatrati dell'antico Egitto. Simbolo di forza e di virilità, Api era strettamente legato al sovrano. Veniva scelto come oggetto di venerazione un animale dotato di segni distintivi insoliti: un triangolo bianco sulla fronte, macchie bianche simili ad ali sulla groppa, la sagoma di uno scarabeo sulla lingua, peli doppi all' estremità della coda. Viveva in un santuario speciale; era viziato dai sacerdoti, ornato di ori e gioielli e adorato dalle masse.
Quando moriva, si pensava che la sua essenza divina si trasferisse in un altro toro: iniziavano così le ricerche del nuovo Api. Intanto, il corpo del toro defunto veniva portato al tempio e adagiato su un letto di travertino finemente scolpito. Per la mummificazione ci volevano almeno 70 giorni: 40 per far disseccare l'enorme mole di carne e 30 per bendarla.