Sulla scrittura dei nomi degli dei

Dopo aver stabilito che i nomi degli dei possono essere scritti in maniera fonetica e figurativa, Champollion constata:

Credo di avere anche acquisito la certezza che i nomi di alcuni dei erano scritti in una terza maniera nei testi geroglifici, e che tale trascrizione avveniva secondo un metodo puramente simbolico: Osiride, per esempio, era espresso abitualmente con un occhio e un trono; Iside, con lo stesso trono, seguito dai segni del genere femminile; i nomi di Horns e di Arueris, - divinità che mi sono parse formare un unico e medesimo personaggio nei testi geroglifici dove sono perennemente confusi, - vengono espressi con uno sparviero seguito da una Linea perpendicolare, da uno sparviero con in testa uno pschent, o da uno sparviero armato di frusta o flagello... Cosi veniamo indotti tramite fatti palpabili a riconoscere che, nel sistema geroglifico, gli Egizi scrivevano i nomi dei loro dei in tre maniere diverse:
1) foneticamente;
2) figurativamente, con l'immagine stessa del dio o della dea che si trattava di rammentare;
3) infine simbolicamente, con l'immagine di uno o pia oggetti fisici con cui il dio era direttamente o indirettamente in relazione, secondo le idee proprie del popolo egizio.
(Jean-François Champollion - Compendio del sistema geroglifico, pp. 106-107)

I nomi degli dei

II rispetto profondo che tutti gli antichi popoli dell'Oriente ebbero in generale per i nomi propri dei loro dei bastava gia per indurre gli Egizi a esprimere questi nomi sacri con caratteri simbolici piuttosto che con segni designanti i suoni stessi di tali nomi. In effetti, possiamo vedere nel trattato di Giamblico sui misteri, l'importanza che gli Egizi, e i Greci cresciuti alla loro scuola, annettevano ai nomi degli dei, che ritenevano di istituzione divina, pieni di un significato misterioso, risalenti ai secoli più prossimi all'origine delle cose, e pochissimo suscettibili di essere tradotti in lingua greca. Questi nomi mistici, e vero, sono sovente espressi foneticamente nei testi geroglifici e ieratici; tuttavia, non bisogna dimenticare che i testi di tale genere venivano scritti da membri della casta sacerdotale, e che furono consacrati e concepiti in caratteri destinati soprattutto a redigere materie religiose. Ma nei testi demotici considerati profani e volgari, i nomi degli dei paiono essere sempre stati espressi tramite i simboli, e mai foneticamente: ecco perché gli Ebrei, dovendo scrivere il nome ineffabile, il tetragramma Yahweh-YHWH (Geova), lo rimpiazzavano spesso con un'abbreviazione convenuta, non lo pronunciavano mai leggendo i testi, e vi sostituivano la parola Adonai.

L’esame di parecchi manoscritti egizi mi ha anche convinto che, per motivi simili, certi nomi divini geroglifici venivano scritti in una maniera e pronunciati in un'altra.
(Jean-François Champollion - Compendio del sistema geroglifico pp. 302-303)

Simbologia e trasmissione dello spirito

Gli anaglifi propriamente detti o le tavole allegoriche, benché formati in generale da immagini mostruose, erano tuttavia in rapporto diretto con la scrittura geroglifica pura. I testi sacri e gli anaglifi avevano una certa quantità di caratteri comuni, e in questo novero ci furono, per esempio, i segni simbolici, che stavano al posto dei nomi propri di divinità differenti; segni introdotti nei testi geroglifici, in qualche modo, come caratteri rappresentativi degli esseri mitici. Tali furono, secondo i fatti, i rapporti teorici e pratici che legavano le diverse parti del sistema grafico degli Egizi. Questo sistema cosi esteso, figurativo, simbolico e fonetico nel contempo, abbracciava, sia direttamente, sia indirettamente, tutte le arti imitative. Il loro principio non fu in Egitto quello che, in Grecia, presiedette al loro estremo sviluppo: queste arti non avevano come scopo particolare la rappresentazione delle belle forme della natura; tendevano soltanto all'espressione di un certo ordine di idee, e dovevano soltanto perpetuare non il ricordo delle forme, ma quello stesso delle persone e delle cose. L'enorme colosso, come il più piccolo amuleto, erano segni fissi di un'idea; per quanto rifinita o grossolana fosse la loro esecuzione, lo scope veniva raggiunto, poiché la perfezione delle forme nel segno era assolutamente secondaria. Ma in Grecia la forma fu tutto; si coltivava l'arte per l'arte. In Egitto non fu che un mezzo potente di dipingere il pensiero; il più piccolo ornamento dell'architettura egizia ha la propria espressione, e si ricollega direttamente all'idea che motive la costruzione dell'intero edificio, mentre le decorazioni dei templi greci e romani parlano troppo spesso soltanto all'occhio, e Sono muti per lo spirito. Il genio di questi popoli perciò si mostra fondamentalmente diverso. Presso i Greci, la scrittura e le arti imitative si separarono molto presto e per sempre; ma in Egitto, la scrittura, il disegno, la pittura e la scultura marciarono costantemente a fianco a fianco verso una medesima meta; e se consideriamo lo stato particolare di ciascuna di queste arti, e soprattutto la destinazione dei loro prodotti, possiamo affermare che si erano appena confuse in una sola arte, nell'arte per eccellenza, la scrittura. I templi non erano, se possiamo esprimerci cosi, che grandi e magnifici caratteri rappresentativi delle dimore celesti: le statue, le immagini dei re e dei semplici individui, i bassorilievi e le pitture che rievocavano in senso proprio scene della vita pubblica e privata, rientravano, per così dire, nella classe dei caratteri figurativi; e le immagini degli dei, gli emblemi delle idee astratte, gli ornamenti e le pitture allegoriche, insomma la numerosa serie degli anaglifi, si collegavano in maniera diretta al principio simbolico della scrittura propriamente detta.
(Jean-François Champollion - Compendio del sistema geroglifico, pp. 364-365)

Per ulteriori estratti dagli scritti di Jean Fraçois Champollion si veda il libro di Christian Jacq: "I segreti dell'antico Egitto - intepretati da Jean-François Champollion"
Archeologia
Oscar Saggi Mondadori