Nei suoi jeans e camicia, con lo sfondo delle piramidi e di un mattino non ancora contaminato dal traffico si direbbe quasi un Indiana Jones egiziano. Ma dietro questa apparenza si nasconde un uomo che in Egitto è diventato quasi un’icona. Nonostante il suo ruolo non sia quel che si definisce “glamour”, Zahi Hawass ha al suo attivo numerose apparizioni nella tv egiziana.

Innumerevoli volte lo si è visto mentre si calava con una corda in un’antica tomba egizia o mentre si sporgeva su un sarcofago alla luce di una fioca lanterna. Il mantra è sempre quello, le parole sono poche, ripetute ossessivamente, ma efficaci: «mummia, sabbia, segreto, eccezionale».

Quando parla di sé Zahi Hawass non usa mezzi termini e, soprattutto, non conosce modestia. Si definisce “conosciuto a livello mondiale” e non esita a raccontare ai giornalisti i lussi che si concede o a snocciolare liste di amici celebri. Racconta con nonchalance delle serata in smoking nella villa del presidente Hosni Mubarak e, senza che venga richiesto, mostra con orgoglio una foto che lo ritrae con il presidente Barack Obama di fronte alle piramidi di Cheope. I giornali, che hanno cominciato a conoscerlo grazie alla sua frenetica attività internazionale, lo descrivono con un misto di ironica derisione e di ammirazione. Qualcuno l’ha soprannominato l’ “elefante volante dell’Egittologia”.

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Zahi Hawass è, difatti, un pezzo grosso dell’egittologia. Il suo ruolo di presidente del Concilio Supremo delle Antichità lo rende il più importante dignitario dell’Egitto in fatto di archeologia, di musei, di politiche culturali. A differenza di molti suoi predecessori, Hawass ha fatto uscire il suo ruolo dall’ombra della burocrazia araba per trasformarlo in quello di un attivista engagé e di un provocatore infaticabile. Der Spiegel lo ha chiamato “il vendicatore dei faraoni”.

Sì, perché Hawass non si limita a lanciare spacconate ai giornalisti. Da anni, il presidente del Concilio sta menando una lotta senza quartiere per riconsegnare all’Egitto alcuni capolavori dell’arte dei faraoni che, ritiene il dignitario, sono stati illegalmente trafugati. «La nostra eredità è stata rubata – dice – Durante i secoli scorsi i popoli hanno violentato il reame del Nilo». Questo lo rende determinato a perseguire il suo scopo: il ritorno in Egitto degli artefatti culturali. Hawass non si è limitato agli annunci. Qualche risultato l’ha già raggiunto. Negli scorsi anni sono tornati in Egitto 31.000 oggetti d’arte trafugati in scavi illegali e per lo più venduti da case d’asta come Sotheby’s e Christie’s ai musei negli Stati Uniti. In patria Hawass è stato recentemente festeggiato per essere riuscito a rintracciare il corpo imbalsamato di Ramses I nella lontana Atlanta. Racconta di essersi sporto sul volto mummificato del faraone e di averlo annusato. Poi ha detto: «Lo sento. E’ l’odore di Ramses». Le analisi in seguito gli hanno dato ragione.

Negli ultimi mesi Hawass ha alzato la posta, intavolando trattative, o per meglio dire facendo annunci bellicosi, con alcuni dei principali musei del mondo, colpevoli, a suo dire, di possedere illegalmente, oggetti d’arte del patrimonio egizio. Il Louvre ha già avuto un assaggio della sua furia. Quando il più grande museo del mondo ha respinto la sua richiesta– restituire degli splendidi affreschi acquistati illegalmente da un mercante d’arte – il dignitario egiziano ha terminato le numerose collaborazioni archeologiche con la Francia, espellendo tutti i ricercatori francesi. Poche settimane dopo, Nicola Sarkozy era al telefono con Mubarak e prometteva il ritorno dei capolavori trafugati.

Il sogno di Hawass è però forse irraggiungibile. Chiedere, come ha fatto, la restituzione della Stele di Rosetta al British Museum di Londra o il Busto di Nefertiti al Museo Egizio di Berlino sembra, agli occhi di molti, poco più che una provocazione o, nel migliore dei casi, un bluff da giocatore di carte. Molti dei numerosi oggetti che Hawass ha richiesto sono infatti arrivati in Occidente in un periodo in cui non esistevano trattati internazionali e vige per questi dunque il principio “nulla poena sine lege”.

Chiedere l’impossibile sembra però, malgrado tutto, convenire a questo personaggio insolito. Se pure Hawass non riuscire nei suoi piani grandiosi, qualcosa di buono l’avrà fatto comunque. La sua mentalità e la sua capacità di conversare con l’Occidente in posizione di equità ha liberato l’Egitto da una posizione di umiltà. Inoltre, Hawass sta restituendo agli egiziani, soprattutto alle classi più basse, un passato accantonato per secoli. Per questi il mondo ruota da sempre esclusivamente intorno a Maometto e al Corano. Adesso, piano piano, grazie a uomini come Hawass, si fa strada l’idea di un passato prestigioso, più antico, più complesso e stratificato

Fonte: Der Spiegel