Il sarcofago di Hatshepsut fu rinvenuto nel 1903 dal celebre archeologo Howard Carter nella ventesima tomba, la KV20, riportata alla luce nella Valle dei Re. Si trattava di uno dei tre sarcofaghi ordinati dalla sovrana; purtroppo, era vuoto. Gli studiosi ignoravano che fine avesse fatto la mummia, se fosse sopravvissuta alla alla campagna indetta da Thutmose III, coreggente e poi successore di Hatshepsut, per cancellare qualsiasi testimonianza del suo regno, quando quasi tutte le immagini che la ritraevano nelle vesti di re furono sistematicamente eliminate a colpi di scalpello da templi, obelischi e altri monumenti.
La ricerca che sembra aver finalmente risolto il mistero è stata avviata nel 2005 da Zahi Hawass, direttore del progetto “Mummia egizia” e segretario generale del Consiglio supremo per le antichità egizie. Assieme a un'equipe di esperti, Hawass ha concentrato i propri studi su una mummia scoperta oltre un secolo prima, la KV60a, lasciata a giacere pavimento di una tomba minore della Valle lei Re perché non considerata abbastanza importante. La mummia aveva continuato a viaggiare nell'aldilà senza poter godere dell'ospitalità di un sarcofago e senza la schiera di statuine chiamate a svolgere le varie mansioni per i reali defunti. Oltretutto, non portava nulla indosso: né copricapo, né gioielli, né sandali o placche dorate sopra le dita di mani e piedi, né alcuno dei tesori che accompagnavano il faraone Tutankhamon, che in confronto a Hatshepsut era un re piccolo piccolo.
Nonostante il dispiegamento di alta tecnologia utilizzata per far luce su uno dei più noti casi di sparizione accaduti in Egitto, se non fosse stato per la fortuita scoperta di un dente forse a quest'ora la KV60a sarebbe ancora sola e al buio, vittima di un anonimato che non dava conto né della sua identità né del suo ruolo di sovrana. Oggi invece è custodita in una delle due sale del Museo Egizio dedicate alle mummie dei reali, dove le targhe in arabo e inglese la identificano come Hatshepsut, la donna faraone, finalmente riunita alla grande famiglia dei sovrani del Nuovo Regno. Eppure, è difficile trovare un faraone che abbia avuto un desiderio altrettanto intenso d'essere ricordato. A quanto pare, Hatshepsut temeva più l'anonimato che la morte. Fu tra i principali patrocinatori di grandi opere in una delle maggiori dinastie egizie, e fece costruire e rinnovare templi e santuari dal Sinai alla Nubia. I quattro obelischi di granito eretti presso 1'enorme tempio dedicato al dio Amon a Karnak sono uno dei più magnifici esempi del genere. Hatshepsut commissionò centinaia di statue che la raffiguravano e lasciò scolpiti nella etra descrizioni e resoconti della sua discendenza, dei suoi titoli, della sua storia (sia vera che inventata) e perfino delle sue riflessioni e speranze, che a volte rivelava con un candore inconsueto.
Nelle scritte incise su uno degli obelischi i Karnak risuona ancora l'eco di un'insicurezza quasi commovente:
Il mio cuore si dibatte mentre penso a cosa dirà la gente. A coloro che vedranno i miei monumenti negli anni a venire e parleranno di ciò che ho compiuto.
Fonte: NGM