sogni La civiltà egizia conosceva numerose forme di divertimento. Osservando i dipinti parietali delle sepolture si nota che i nobili amavano banchettare intrattenendosi con musica e spettacoli di danza ed esercizi acrobatici.

Alcuni scavi archeologici hanno riportato alla luce giocattoli per bambini: bambole di legno e stoffa con braccia e gambe mobili, coccodrilli di legno con piccole ruote e provvisti di una corda per essere trascinati ed un particolare giocattolo costituito da tre statuette d’avorio che rappresentavano dei danzatori pigmei. Questo antico giocattolo, probabilmente destinato allo svago di un piccolo principe, vedeva i tre pigmei costruiti con gambe e braccia che si potevano muovere tirando delle sottili corde.

Bambole Il museo egizio di Torino conserva due esemplari di bambole di legno con braccia e testa grossolanamente abbozzate e corpo appiattito come una spatola ma con decorazioni interessanti: una serie di perline in faience disposte in modo alternato su dei sottili fili di lino compongono la capigliatura di una delle bambole.

Palle da giocoliere Alcuni dipinti tombali di Beni Hassan raffigurano giovani donne e uomini che eseguono esercizi di abilità e destrezza tirando in aria alcune piccole palle. Queste sfere da giocoliere erano composte internamente con un insieme di papiro e paglia pressati e ricoperte con più strati di lino o cuoio cuciti insieme oppure erano di faience dipinta con colori vivaci come l’azzurro ed il nero.

La stella In un dipinto della tomba di Baqet III viene invece rappresentato il “gioco della stella” forse più simile ad un esercizio di equilibrio. Veniva eseguito da due fanciulle che facendo leva sui piedi ed effettuavano un movimento di rotazione intorno al corpo di due giovani uomini che le sostenevano per i polsi.

Uno dei più antichi giochi da tavolo praticati in Egitto è il “gioco del serpente” chiamato anche Mehen, dal geroglifico MHN che significa serpente arrotolato, esemplari di questo gioco sono stati trovati in alcune tombe di Abydos dell’epoca tinita, nella tomba di Hesy a Saqqara e in sepolture dell’antico regno e del periodo saitico. Il curioso nome di questo gioco è dovuto alla forma a spirale della scacchiera che ricorda un serpente arrotolato la cui testa era riprodotta al centro del cerchio, le caselle assomigliavano alle scaglie del corpo del rettile e si facevano sempre più piccole con l’approssimarsi del centro del Mehen. Anche se le regole del Mehen sono ancora oggi sconosciute dai ritrovamenti archeologici sappiamo che i giocatori dovevano far rotolare lungo la spirale del gioco delle biglie rosse e bianche mentre per spostarsi nelle caselle venivano utilizzate sei pedine a forma di leone e leonessa.

Il Senet Il Senet, il gioco più popolare dell’Antico Egitto, era un passatempo che appassionava ogni classe sociale e tutto ciò è confermato anche dal ritrovamento di un papiro, oggi conservato nel museo egizio di Torino che riporta l’immagine del gioco. In modo improprio la somiglianza nella disposizione delle caselle è paragonato all’odierna dama infatti il senet è una scacchiera rettangolare divisa in trenta caselle quadrate disposte su tre file parallele. Ogni giocatore lanciava dei bastoncini di legno che avevano la stessa funzione degli odierni dadi, dal risultato ottenuto potevano essere mosse le pedine che dovevano compiere l’intero percorso della scacchiera cercando di evitare alcune caselle che erano considerate “sfortunate”. Numerosi esemplari di senet sono stati ritrovati nelle sepolture oltre ad una ricca produzione pittorica tombale che testimonia la popolarità di questo gioco utilizzato, senza subire grandi trasformazioni, durante l’epoca predinastica fino al periodo greco-romano. Nel Nuovo Regno egizio cominciò ad assumere anche un carattere magico/religioso, la prova di questa cambiamento da gioco d’azzardo ad uso funerario si trova nella formula d’introduzione del capitolo 17 del Libro dei Morti dove viene descritto come il defunto doveva giocare una partita di senet contro un avversario invisibile. Se il defunto aveva compiuto in vita delle buone azioni poteva essere protetto da Osiride, Ra e Thoth e vincere la partita garantendosi un destino favorevole nell’oltretomba.

Nella sepoltura del faraone Tutankhamon sono stati ritrovati quattro senet uno dei quali di splendida fattura costruito in ebano con piedini in oro e intarsi in avorio.

Il senet di Tutankhamon è un prezioso esempio di questo gioco ma io preferisco descrivere quello trovato nella sepoltura di Deir el Medina dell’architetto Kha forse meno pregiato ma comunque un oggetto molto interessante. Si tratta di una scatola di legno con un cassetto nella parte anteriore che serviva per contenere le dodici pedine del gioco. Questo particolare senet è formato da 2 facce, quella inferiore è divisa in trenta caselle rettangolari , tre sono incise con geroglifici (probabilmente sono le caselle infauste che dovevano essere evitate nel gioco), cinque pedine hanno la forma di rocchetto e sette di cono con la punta arrotondata.

Nella lato superiore l’oggetto riserva una sorpresa: è infatti presente un secondo gioco chiamato “gioco delle venti caselle” o Tkhau(tjau). La superficie è divisa in venti caselle, dodici nel centro e quattro su entrambi i lati dove dodici pedine si muovevano aiutate da astragali, una sorta di dado a quattro facce ottenuto dagli ossi di alcuni animali come il bue o la pecora.

Il “gioco del cane e dello sciacallo” è un altro dei passatempi molto conosciuti nell’antico Egitto e la diffusione di questo passatempo andò oltre i confini egiziani infatti sono stati ritrovati esemplari anche in Palestina. Era un gioco a forma di piccolo tavolo di legno posto su quattro zampe di animale, sul lato superiore erano realizzati su due file trenta fori simmetrici su quali si mettevano dei bastoncini appuntiti di avorio, osso o bronzo decorati alle estremità con teste di sciacallo e cane. Questo gioco è stato inventato probabilmente nel Medio Regno egizio ed un bellissimo esemplare è oggi conservato al Metropolitan Museum di New York, realizzato in legno di sicomoro intarsiato in avorio ed ebano.

Articolo a cura di Silvia B.

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