Un viaggio lungo il Nilo nell'antico egitto faraonico e non solo. DW. Nash 1836, John Gordon 1804, John Malcolm 1822: sono alcuni dei nomi di viaggiatori dell’Ottocento incisi sulla terrazza del tempio di Dendera, l’antica Tentyris, città sacra alla dea Hathor (rappresentata con le orecchie di vacca). Su questa terrazza si conclude la visita al tempio oggi, così come i pellegrinaggi all’epoca dei Faraoni, quando qui saliva la sacra processione per la cerimonia finale di unione al Disco Solare.
Quello che vediamo ora è un tempio rifatto in età tolemaica, sul sito di una preesistente costruzione risalente al periodo di Cheope, IV Dinastia, 2600 a.C. circa. Sul retro, incisi sulla parete esterna a grandi dimensioni, ci sono Cleopatra e suo figlio Cesarione, avuto da Giulio Cesare. Dall’alto, la vista spazia sulle rovine della città, con le porte ai quattro punti cardinali, i resti della chiesa copta, il mammisi romano, eretto sotto Nerone.
È incredibile come tutto ciò si sovrapponga: epoche lontanissime con i giorni nostri; la storia misteriosa di un popolo con la campagna d’Egitto di Napoleone, con le firme dei turisti spagnoli, con il gruppo di giapponesi che sta lasciando le rovine di questo tempio che sembra essere qui da sempre, rimasto integro nella sua struttura, depredata per erigere altri templi, chiese.
Eppure, ancora vi si sale fino in cima per ammirare uno splendido paesaggio ai limiti del deserto. La strada che porta a Luxor attraversa prima il Nilo per correre sulla sua riva orientale. Mohamed, l’autista, infila nell’autoradio Tamally Maak, l’ultimo album del cantante pop egiziano Amr Diab. Guidare da soli in Egitto, per via della mancanza d’indicazioni complete in caratteri occidentali, e un po’ anche per il locale “stile” di guida, è sinceramente sconsigliabile. Una serie di sorpassi «mozzafiato” e siamo a Luxor, dove un grande mosaico con la faccia di Hosni Mubarak (il presidente egiziano) accoglie i visitatori. Oggi è diventata una moderna città turistica di circa l50 mila abitanti: l’antica Tebe fu distrutta dagli Assiri 700 anni prima di Cristo e già i Romani profanavano le tombe per impossessarsi delle ricchezze descritte da Omero.
I viaggiatori del XVIII secolo arrivavano a Tebe, da secoli ridotta a un piccolo villaggio, con i testi classici di Erodoto e Strabone sotto il braccio, alla ricerca di tracce della civiltà di un tempo. Ma soltanto durante la conquista napoleonica ebbero inizio i primi scavi scientifici. Da quel momento Luxor diviene il centro delle ricerche archeologiche in Egitto, con i turisti sempre più numerosi, le spedizioni che si succedono, i predatori di tesori che continuano a saccheggiarla per soddisfare una crescente richiesta di oggetti antichi da parte dei visitatori. Da allora, la ricerca archeologica si è fatta più tecnologica (andate al sito www.valkyofthekings.org per avere notizie degli ultimi studi), ma è fortemente diminuita. Ormai tutte le tombe sono state aperte. Su circa 5 milioni di persone che visitano il Paese ogni anno, almeno il 60% passa da Luxor. Lungo le rive del Nilo sono ormeggiate le navi che effettuano la crociera.
Gruppi che salgono qui e scendono ad Assuan per dare il cambio a chi fa il viaggio in senso inverso. Qualche feluca si sposta lentamente da una riva all’altra. Sulla Comiche si affacciano gli alberghi migliori, come il Winter Palace, dal sapore coloniale: bellissima villa con ampio parco sul retro, una specie di orto botanico con grande piscina. Corrono i calessi neri, i cocchieri vi tormenteranno all’infinito se vi vedranno a piedi. “Caléche, Caléche!” gridano, fino a quando, stufi della persecuzione, non accetterete di fare un giro della città.
Sulla Corniche ci sono due luoghi da non perdere: il Museo archeologico (con splendidi reperti locali, come le statue scoperte nel 1989 nel tempio di Luxor) e il Museo delle Mummificazioni (interessantissima raccolta di oggetti legati a tale pratica). Un suggerimento: se vi trovate sulla Corniche, date un’occhiata all’arrivo del traghetto che collega le due rive del fiume. Potrete così avere un’idea del volto degli abitanti di Luxor e dintorni, per non cadere nell’errore di credere che in questa città ci siano solo turisti occidentali.
Uscite dalla hall dell’albergo, dai ristoranti per turisti, dal piccolo bazar accanto all’hotel Mercure, e fate un breve giro nella Luxor vera: quella dove vive la gente di tutti i giorni, come il mercato dei piccoli animali che si tiene dietro la cinta muraria del tempio di Karnak, a EI Nag’El Fuqani, oppure il mercato vicino alla stazione, sovraffollato dalle massaie in nero. Se vi addentrate nei vicoli, guardate bene le case dipinte: raccontano il viaggio alla Mecca del proprietario, con l’aereo o, se meno abbiente, con la nave. Fuori dalle case, o presso gli incroci, la tradizione vuole che ci siano grandi vasi pie- d’acqua perché i passanti pos- dissetarsi.
C’è una città che vive dieiro la “Disneyland” dei turisti, dimore dove la sera ritornano i custodi del tempio di Karnak l’autista del taxi che avrete preso, il direttore dell’albergo e la cameriera del ristorante. Una città con i suoi negozi, i caffè in cui bere un tè fortissimo o fumare il narghilé. Sarebbe un peccato andare via senza averla vista, dimenticando che in Egitto, oltre ai resti dei Faraoni, ci sono gli egiziani. Mohamed Ezz El Din racconta di aver pilotato mongolfiere in Europa nello Shropshire e nella campagna francese: la sua mano enorme stringe forte, abitudine che gli arabi non hanno. La giorni nata è stupenda, la visibilità persanp fetta e quasi sconfinata. Pare per- sino d’intuire la curvatura terrestre mentre l’alba illumina il tempio di Hatshepsut e il massiccio mono tuoso che protegge la Valle dei Re e quella delle Regine.
Il volo dura poco perché l’aria si scalda subito e il controllo dell’aerostato diventa difficoltoso. Dall’alto si vede tutta la riva occidentale, la “Tebe dei morti”: i colossi di Memnone, il Ramesseum, tempio funerario di Ramesse II e il grande tempio di Medinat Habu, edificato da Ramesse III. All’interno di quest’ultimo, tra le scene di battaglie che celebrano il sovrano, una macabra conta di mani attira l’attenzione: sono quelle dei nemici vinti, annotati uno per uno con estrema precisione. Verso il sole brillano il Nilo e il profilo di Luxor. La luce si fa abbagliante. La magia dell’alba è finita e così anche il giro in mongolfiera.
Nella Valle dei Re c’è molto caldo. I turisti sono in fila per la visita. Poi, accaldati, si spingeranno all’interno per guardare le pitture protette dai vetri blindati. Sicuramente un’altra atmosfera rispetto a quella della metà del XIX secolo, quando si ammiravano le decorazioni illuminate dalle fiaccole delle guide. Già agli inizi del Novecento la valle fu dotata d’impianto elettrico per evitare i danni della fuliggine delle torce. A volerlo fu l’archeologo inglese Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon, l’unica trovata intatta, scampata al saccheggio nei secoli. La casa abitata da Howard sorge su una collina, all’ingresso della valle: dicono che sarà presto aperta al pubblico come museo. Vicino al villaggio di El-Qurna, dove una volta vivevano i tombaroli, è festa.
Quando arriviamo è l’anniversario della morte di Abu al Komsan, un sant’uomo sepolto qui. Una scena felliniana si presenta sul polveroso spazio oltre le case. Un Luna Park d’altri tempi, con le attrazioni in legno colorato, la grande ruota colma di ragazzi, i bambini a bocca spalancata che non riescono a parlare per lo stupore. A differenza di ciò che accade nel ricco Occidente, dove i nostri bambini non si stupiscono più di nulla. Abbiamo perso la loro meraviglia, che qui ritroviamo assieme alle corse dei cavalieri arabi.
Belli e severi, che sollevano un polverone, acclamati dalla folla che batte le mani freneticamente. Poco distante, un cerchio di teste avvolte da un turbante nasconde la danza rituale con i bastoni, una lotta mimata che coinvolge gli spettatori. Nessuna donna è presente. Loro accompagnano i bambini nella ressa delle giostre, oppure osservano dalla collina, sedute, il tramonto sulla folla.