Nella tecnica gli Egiziani antichi, benché forniti di strumenti e di macchine semplicissime e primitive, hanno raggiunto un altissimo grado di abilità e di risultati.
Senza conoscere l’acciaio, gli artigiani egiziani sono arrivati a saper lavorare le pietre più dure. Nell’età preistorica già venivano lavorati, per farne vasi, pietre come la diorite o il basalto: perfettamente lisci all’esterno e svuotati all’interno fino a raggiungere uno spessore incredibilmente sottile, i vasi erano ottenuti soltanto con strumenti di pietra, selce e smeriglio; l’uso della pietra dura per recipienti continuò anche in epoca protodinastica, poi si usò pietra più tenera come lo scisto e l’alabastro, lavorati con primitivi trapani di selce. Gli uomini preistorici sapevano lavorare la selce prodigiosamente bene, per armi e per ornamenti.
Quando l’architettura utilizzò i blocchi di pietra, anche in dimensioni molto grandi, furono fatti statue e obelischi monolitici, il materiale si estraeva dalle cave; i mezzi meccanici a disposizione degli operai erano estremamente poveri. I blocchi venivano estratti dalla roccia, facendovi una fessura secondo il contorno del blocco che si desiderava, e a intervalli, si scavavano fori più profondi, dove i cunei di legno, che vi venivano posti, si dilatavano per l’acqua di cui venivano imbevuti, staccando in tal modo, progressivamente, il blocco. Gli strumenti erano picconi di calcare silicificato, seghe con lame di rame e trapani; per penetrare, si usava lo smeriglio, in polvere, oppure più frequentemente, in pezzetti appuntiti fissati su uno strumento di legno. I grandi geroglifici che si vedono sulle pareti degli edifici, erano prima disegnati, poi i contorni venivano tagliati con lame di rame su polvere di smeriglio, e la parte interna veniva fatta saltare, poi tutto veniva pulito con smeriglio.
Non risulta che gli Egiziani conoscessero delle macchine di sollevamento, anche semplici; conoscevano invece le leve e i rulli, tronchi d’albero sui quali far scorrere e avanzare pesanti oggetti di pietra. Per realizzare gli alti muri dei templi, dei palazzi, si ricorreva al sistema, in mancanza di macchine adatte, di riempire di terra l’interno dell’edificio, in mucchi sempre più alti via via che il muro avanzava, coi blocchi che venivano issati lungo il terrapieno costruito. Il sostegno di terra era poi tolto. Per la costruzione di una piramide o di un pilone, veniva preparata una rampa di mattoni crudi, con gradoni di pietra, che pcrmettesse di issare i grossi blocchi fino in cima; mancando altri strumenti, i blocchi erano fatti arrivare su, usando un palo come leva. Gli immensi obelischi monolitici, trasportati su grandi zattere, via fiume, dalla cava fino al luogo destinato, venivano eretti con il sistema di un piano inclinato, di mattoni o di terra, sul quale l’obelisco era steso, e progressivamente facendolo raddrizzare, finché non stava eretto, alla fine, per il suo stesso peso.
A partire dal Nuovo Regno erano usati in guerra cocchi con due ruote; il carro con quattro ruote, conosciuto in Egitto soltanto dopo l’Antico Regno, era rarissimo ed era usato per trasportare le «barche divine». Un meccanismo che è attestato a partire dall’epoca amarniana, è quello che ancor oggi si usa in Egitto e che viene chiamato con la parola araba sciaduf: serviva, e serve ancora, per trasferire l’acqua da un canale a un altro di livello superiore, mediante un vaso messo a una estremità di un palo, che ha la funzione di una leva, mentre dall’altra estremità è posto un peso, una grossa pietra, e il trasferimento dell’acqua avviene con un minimo di fatica. Per la tessitura del lino, l’egiziano conosceva il telaio: quello più antico (certo anche quello preistorico) era del tipo detto orizzontale; dal Nuovo Regno, viene usato anche il telaio verticale, ma i due tipi continuano ad essere usati nello stesso tempo, poiché per le stoffe più sottili era necessario usare il tipo orizzontale. Ci sono arrivati piccoli modelli di telai, ma la conoscenza migliore della tecnica della tessitura è data dalle raffigurazioni sulle pareti delle tombe, che rappresentavano appunto questo mestiere. Il lino usato per le vesti era bianco per lo più, ma si conoscono anche stoffe colorate: il rosso era ottenuto con la robbia, il giallo era dato dallo zafferano, con il giallo e con il blu (di origine non ancora determinata) si ottenevano tinture verdi. Del Nuovo Regno si conoscono anche tessuti a vari colori e disegni, d’influenza asiatica.
Sulle tecniche della metallurgia, siamo abbastanza informati: l’oro, per la gioielleria, era trattato con il sistema detto a cera perduta, oppure la forma voluta era ottenuta con la pressione. L’oro, fuso con il calore, era lavorato abilmente. Si sapeva ottenere lunghi fili d’oro, tagliando la lastra di metallo; si usava anche, nel Medio Regno, la tecnica detta a granulazione; l’oro, dalla XVIII dinastia, è in lega con il rame. L’argento — e l’oro — poteva essere ridotte a sfoglie sottilissime, fino a 1/100 di millimetro, per ricoprire oggetti di altro metallo o di legno; con l’argento si facevano coppe e vasi.
Il primo metallo, però, ad essere lavorato fu il rame, dapprima martellato con martelli di pietra resistente; in seguito viene colato entro forme, per farne degli utensili. Il rame, di per sé non troppo duro, veniva reso durissimo con l’aggiunta di bismuto prima, poi di arsenico. Il bronzo, che si ottiene dall’unione del rame con lo stagno (ma l’Egitto non possedeva giacimenti di stagno), comincia ad essere fabbricato dal Medio Regno; gli oggetti di bronzo erano ottenuti con la tecnica a cera perduta. Il ferro non è comune che dopo la XVIII dinastia; prima non è assente (l’Egitto possedeva giacimenti di minerali di ferro nel deserto orientale) ma molto raro (una piccola ascia, fondamentale nel rito della apertura della bocca, operato sulla mummia dei defunti, bisognava che fosse di ferro). A un largo impiego del ferro si oppose, fin dopo l’epoca saitica, una difficoltà tecnica, poiché il ferro deve essere forgiato a caldo, a differenza del rame e anche del bronzo. I vasi di terracotta erano modellati sul tornio, I vasi, le figurine, gli amuleti smaltati di color verde o azzurro, non erano di terracotta smaltata, ma Io smalto era applicato sugli oggetti modellati in un impasto di silice; Io smalto si preparava fuso in piccoli forni e il suo colore era dovuto all’unione di composti di rame. Il vetro appare in Egitto in epoca molto antica, ma non è mai stato molto comune. Il vetro egiziano è una pasta di vetro, prodotta dalla fusione di silice pura; con l’aggiunta di componenti minerali, si ottenevano vetri di colori diversi. La tecnica del vetro soffiato non è mai stata usata in Egitto, prima che fosse introdotta in età romana. La tecnica del legno comportava una serie di strumenti, per prima l’ascia, un’ascetta, una lunga sega, il maglio, Io scalpello e dei trapani, simili a quelli usati per la pietra. I falegnami non usavano chiodi, ma ricorrevano alla tecnica dell’incastro.
Due altre tecniche sono tipicamente egiziane: la fabbricazione del papiro e la mummificazione. Il papiro come materiale per la scrittura è attestato fin dall’Antico Regno: si fabbricava utilizzando la parte interna dei fusti del papiro — una pianta ciperacea scomparsa attualmente dall’Egitto, ma ancora esistente nel Sudan —, tagliata in strisce sottili: prima si formava uno strato con le fibre disposte parallele orizzontalmente, e un secondo strato di fibre disposte perpendicolarmente alle prime veniva sovrapposto; i due strati aderivano tra loro, senza bisogno di nessunaltra colla che la loro propria secrezione; i fogli di papiro venivano battuti e pressati, per farli bene aderire con uniformità.
Della mummificazione del corpo dei defunti si hanno tracce in Egitto almeno dalla IV dinastia; nell’epoca predinastica, il corpo era sepolto ai bordi dcl deserto, avvolto in una pelle d’animale o in un drappo di lino, mentre nelle primissime dinastie il corpo da seppellire era strettamente avvolto in un drappo di lino, e spesso anche le singole membra erano state separatamente fasciate con delle bende di lino, La mummificazione aveva lo scopo di conservare il cadavere — alla base vi sono le credenze religiose che affermavano che l’anima per tornare a vivere aveva bisogno del suo corpo — e, a questo fine, per prima cosa venivano estratti, dagli addetti alla operazione, le viscere, facilmente decomponibili, deposte poi nella tomba separatamente, entro vasi speciali chiamati canopi (tuttavia si conoscono anche casi di cadaveri sottoposti a mummificazione senza l’estrazione delle viscere). Il cadavere veniva reso secco mediante un bagno in una soluzione di natron, per 70 giorni (una tecnica più antica, usava natron secco); il corpo estratto dal bagno era lavato e unto d’unguenti, si riempiva l’interno del cadavere con resine e tamponi di lino imbevuti di resine, poi, avvolto di bende, era deposto nel sarcofago. li nome «mummia» deriva dal termine persiano murn «bitume», benché il bitume non sia attestato nella mummificazione prima dell’età greca e quella romana: ha causato l’equivoco il colore nero che ha assunto il materiale resinoso dentro le mummie.
Nella vita quotidiana, la preparazione dei cibi e delle bevande seguiva certi sistemi. La carne poteva essere cotta dentro pentole, sopra dei fornelli (forse di terracotta) sotto i quali ardeva un fuoco; si potevano cuocere pezzi di carne, ma soprattutto volatili o anche pesci, infilzati in uno spiedo. Le verdure, che avevano una larghissima parte nell’alimentazione, potevano essere mangiate crude (le insalate, le cipolle) o lessate (fave, ceci, lenticchie). La fabbricazione del pane, cibo di base dell’egiziano, comportava una serie di operazioni e di attrezzature: il grano era per prima cosa ridotto in farina, macinando con una pietra i granelli sopra una sorta di grande e largo mortaio di pietra, più anticamente con una sola cavità, poi con una seconda cavità più bassa della prima, nella quale cadeva, da un piano inclinato, la farina parzialmente macinata, che veniva poi macinata più e più volte fino a raggiungere la finezza desiderata; la farina era impastata con l’acqua, e forse con l’aggiunta di un lievito, poi le pagnotte di pasta erano fatte cuocere, sia direttamente sulla brace, sia, più frequentemente, dentro un forno rudimentale. Erano in generale le donne (le serve di casa) che compivano il faticoso lavoro di macinare il grano.
La fabbricazione della birra comportava prima la cottura di pani d’orzo, che erano fatti macerare nell’acqua, forse con l’aggiunta di datteri per dare un gusto più gradevole alla bevanda: il composto fermentava finché non si filtrava la birra, e si conservava in giare sigillate. La fabbricazione del vino avveniva così: i grappoli vendemmiati erano raccolti in grandi recipienti e pigiati coi piedi dai vendemmiatori; il tutto era poi passato dentro uno strizzatoio, che veniva torto dai due capi, una sorta quindi di torchio; il mosto era raccolto in recipienti, poi il vino era messo in giare, sigillate e con l’indicazione dell’annata della raccolta e del vigneto di provenienza.
EDDA BRESCIANI
Riassutnto delle tecniche degli antichi egiziani