Personalmente, forse mi interessa di più scoprire come le piramidi hanno costruito l’Egitto che non come gli egiziani hanno costruito le piramidi.
Mark Lehner
Il racconto di Erodoto, con le sue decine di migliaia di schiavi costretti a lavorare fino al limite delle forze per costruire la Grande Piramide, è ormai inesorabilmente relegato nel mondo della fantasia. Ma chi erano gli anonimi operai che sono arrivati in così gran numero per partecipare alla costruzione della piramide? I loro scheletri offrono indizi determinanti.
Presso la Medical School dell’Università del Cairo, Moamina Kamal ha avviato un programma di ricerca che prevede il confronto del DNA ricavato dalle ossa di Operai vissuti oltre 4500 anni fa con quello degli egiziani di oggi. La ricerca non è ancora terminata, ma i primi risultati, per altro non ancora pubblicati, sono molto interessanti. Innanzi tutto, confutando una volta per tutte il mito che vorrebbe gli antichi egizi incapaci di progettare e Costruire monumenti tanto complessi, le analisi del DNA hanno indicato che coloro che costruirono le piramidi erano gli antenati degli egiziani di oggi. La conferma della “egizianità” delle piramidi, che in verità gli egittologi non avevano mai messo minimamente in dubbio, è comunque un gradito antidoto a tutta una serie di teorie, una più bizzarra dell’altra, che di tanto in tanto sono spuntate fuori nel corso degli anni. Zahi Hawass, per nulla sorpreso, ha fatto notare che: «E molto importante sapere che erano egiziani. Non erano persone venute dallo spazio. Non erano alieni. Non appartenevano a civiltà perdute...».
Inoltre, come spiega Moamina Kamal: «Dai nostri studi preliminari possiamo vedere persone provenienti dall’intera valle del Nilo, da Aswan fino al Delta, e dunque è legittimo affermare che a quell’epoca tutti gli abitanti della valle del Nilo partecipavano alla costruzione delle piramidi».
La presenza di persone che giungevano da ogni parte del paese per lavorare alle piramidi è un fatto interessante, poiché ci consente di ipotizzare due diverse possibilità: una tradizionale, che prevede l’impiego di manodopera costretta al lavoro forzato, qualcosa di simile a una vera e propria corvée; e una seconda, più nuova, secondo la quale si tratterebbe di lavoro prestato volontariamente. Prenderemo in considerazione tutte e due le possibilità. Secondo la prima ipotesi sarebbe toccato ai governatori delle province fornire un certo numero di lavoratori ogni anno. E noto, infatti, che sebbene non ci fosse la necessità di un sistema di irrigazione artificiale che coprisse l’intero territorio statale, occasionalmente gli egiziani erano costretti a imbarcarsi in progetti di “protezione civile”, progetti su vasta scala, come ad esempio scavare canali artificiali o rafforzare i confini.
Inoltre, talvolta il faraone sentiva il bisogno di magnificare la propria posizione costruendo uno splendido monumento — di solito un tempio — che doveva servire come testimonianza permanente della sua pietà religiosa e del sui potere. Le piramidi rientravano in questo genere di costruzioni di prestigio, piuttosto che nei progetti di interesse generale. Tuttavia, in un caso e nell’altro era indispensabile l’opera di artigiani esperti — architetti, sovrintendenti, scribi e simili — oltre a una massiccia presenza di manovalanza maschile e femminile.
Ci sono testimonianze attendibili, risalenti all’Antico Regno, che mostrano come questi progetti fossero diretti da funzionari governativi, ma in concreto fossero realizzati da manovali reclutati all’interno delle comunità locali mediante il sistema delle corvée, o lavoro forzato temporaneo. Non esistendo il denaro, la corvée era una forma di tassazione. I manovali erano reclutati da funzionari locali che agivano per conto e agli ordini del visir. Venivano prelevati dalle loro case, sistemati in caserme o in apposite baracche — ce n’era una proprio accanto alla Grande Prigione di Tebe — e nutriti e vestiti fino a quando non avessero completato il periodo di lavoro loro assegnato. Dopodiché erano liberi di tornarsene a casa.
L'articolo sulle piramidi continua alla pagina seguente.E evidente che se la comunità beneficiava di un simile sistema, non era così per i singoli operai, che non ricevevano alcun compenso per il loro lavoro. E naturalmente la precettazione per la corvée era molto temuta. Pochi erano gli egiziani che avevano la fortuna di esserne esentati per legge. Gli altri potevano cercare di “persuadere” gli amministratori a chiudere un occhio versando un’adeguata tangente; così, in linea di massima, erano soltanto i membri più poveri della società egiziana a correre seriamente il rischio di essere chiamati ai lavori forzati.
Una volta precettati, non era comunque consigliabile cercare di tagliare la corda. Un documento della XII Dinastia, attualmente noto come Papiro Brooklyn, elenca circa settantacinque uomini e una donna che furono tanto incoscienti da svignarsela prima di aver completato il loro lavoro. I tribunali, disapprovando pesantemente un simile comportamento ritenuto antisociale, erano autorizzati a trattenere come ostaggi le famiglie dei disertori fino a quando questi ultimi non fossero tornati al lavoro. Una volta che i disertori si fossero arresi, o fossero stati presi, le famiglie venivano rilasciate (soltanto in un caso : non era stato cosi) mentre coloro che avevano violato la legge, uomini o donne che fossero, dovevano affrontare e conseguenze delle loro azioni. Dal Papiro Brooklyn possiamo dedurre senza ombra di dubbio che sia le donne che gli uomini erano tenuti a queste prestazioni obbligatorie, anche se non ci viene detto quale fosse esattamente il tipo di lavoro che veniva loro richiesto.
E possibile che uomini e donne dovessero svolgere mansioni diverse. Sembra anche del tutto evidente che per coloro che erano sottoposti a corvée la precettazione avvenisse individualmente e non insieme alle rispettive famiglie. Possiamo dunque aspettarci di trovare donne direttamente impegnate nella costruzione della piramide, e non soltanto le mogli degli artigiani di alto livello che avevano accompagnato i mariti, tra la forza lavoro che risiedeva temporaneamente nella “Città delle Piramidi”? Se sarà davvero così, probabilmente potremo anche dedurre che venivano precettate soltanto donne non sposate. Infatti, se consideriamo il profondo rispetto che tradizionalmente veniva riservato al ruolo di moglie e di madre, sembra altamente improbabile che donne sposate potessero essere strappate alla loro famiglia, ai mariti e ai figli. Se poi aggiungiamo che nel Periodo Dinastico le donne tendevano a sposarsi e a fare figli prima dei quindici anni, ne derivava che molte erano automaticamente escluse. Per di più, dal momento che i lavoratori temporanei venivano ingaggiati per svolgere un lavoro fisico pesante, sembra molto probabile che si preferisse chiamare uomini piuttosto che donne, almeno per il lavoro di costruzione vero e proprio. Quanto all’impiego di donne nei cantieri egiziani, abbiamo soltanto testimonianze indirette, il che, sebbene non escluda automaticamente che anche le donne potessero essere chiamate a lavorare nella “Città delle Piramidi”, farebbe comunque ipotizzare che con buona probabilità la manodopera temporanea fosse essenzialmente, se non interamente, maschile. Infine, un’ipotesi alternativa è stata avanzata da Mark Lehner e Zahi Hawass. Si potrebbe riassumere così: la Grande Piramide fu un progetto di livello nazionale che coinvolse l’intero paese. Lehner ha anche paragonato la costruzione delle piramidi a quella dei granai collettivi presso i Mennoniti Amish dell’America del Nord. Qui l’intera comunità unisce le forze per raggiungere un obiettivo comune, mentre il lavoro è distribuito secondo la tradizione tra uomini e donne, tra giovani e vecchi. E possibile che i singoli individui abbiano poca voglia di partecipare a questo sforzo comune, ma le pressioni sociali e familiari fanno sì che non vi si sottraggano. Basandosi su queste considerazioni, Lehner è arrivato a ipotizzare che coloro che hanno costruito le piramidi si siano offerti spontaneamente, si sia trattato cioè di volontari che si sarebbero sentiti in dovere di contribuire alla realizzazione di un’opera di interesse comune, e non di manodopera forzata. La costruzione dei granai collettivi, e forse anche delle piramidi, si sarebbe così trasformata in un evento sociale oltre che economico. In questo senso sarebbe possibile anche fare un paragone con il sistema dei kibbutz del moderno stato di Israele.
I giovani egiziani dell’Antico Regno, che lasciavano i loro villaggi di poche centinaia di abitanti per recarsi nella “Città delle Piramidi”, con i suoi quindicimila individui impegnati nello stesso progetto, potevano benissimo aver considerato la costruzione della piramide un’esperienza esaltante. Non solo, ma Zahi Hawass, avendo scoperto nelle tombe degli operai di Giza minuscole piramidi di mattoni di fango, ritiene che il simbolismo della piramide fosse già sufficientemente forte da spingere la gente, uomini e donne, a offrire il proprio lavoro. Se dunque la piramide fu costruita da volontari, e se ipotizziamo che non si sia trattato di un’esperienza coatta esclusivamente maschile, potremmo forse aspettarci di trovare un numero più elevato di donne, dal momento che è possibile che intere famiglie avessero deciso di recarsi a lavorare nella piana di Giza. Sotto certi punti di vista, questa teoria può essere confermata da quanto sta emergendo dagli scavi in corso nel cimitero degli operai, dove le tombe dedicate alle donne, sepolte come esponenti di gruppi familiari piuttosto che come individui isolati, ammontano approssimativamente al cinquanta per cento del totale. Per il momento, tuttavia, dobbiamo lasciare irrisolta la questione delle modalità di reclutamento della manodopera. Una cosa tuttavia appare del tutto evidente. Qualunque fosse il sistema di reclutamento, non c’è dubbio che l’efficienza dovesse essere molto alta. Tra la TI e la IV Dinastia ci furono ben pochi progressi nelle tecniche costruttive. E allora, che cosa ha permesso a Zoser, Snefru, Cheope e Chefren di abbandonare un’architettura fatta di mattoni di fango e di imbarcarsi in progetti tanto ambiziosi? Mark Lehner è certo della risposta: «I progressi non riguardavano gli utensili, le tecniche costruttive e la tecnologia; i progressi riguardavano l’organizzazione sociale». La costruzione della Grande Piramide è stata un innegabile trionfo di organizzazione, con una pianificazione ed una coordinazione di altissimo livello e su scala talmente vasta che sarebbero sbalorditive anche oggi. Questa organizzazione andava molto oltre la piana di Giza, al punto che su e giù per la valle del Nilo e per tutto il Delta c’erano contadini, minatori, marinai, cavatori e naturalmente operai strettamente coinvolti in un unico, grande, progetto nazionale. In pratica quasi tutta la popolazione adulta maschile, direttamente o indirettamente, lavorava alla costruzione della piramide. Il surplus di tutte le province affluiva a Giza, facendo sì che tutti si rendessero conto del diritto, e dell’abilità, del faraone di controllare la ricchezza dell’intero Egitto. Senza un accesso illimitato alle risorse del suo paese, Cheope non avrebbe mai potuto costruire la sua piramide. La costruzione della piramide rese necessaria la creazione di sofisticato sistema burocratico che fosse in grado di far fronte alle esigenze di qualcosa come ventimila operai. I due punti fermi dell’organizzazione egiziana — la nomina di funzionari i cui incarichi specifici traspaiono dai loro titoli e la suddivisione del numero enorme di operai in efficienti unità lavorative - si possono facilmente constatare nel cimitero degli operai di Giza. Quando si trovavano a dover affrontare un compito che potrebbe sembrare impossibile — la costruzione di un monumento di enormi dimensioni — la risposta degli egiziani consisteva nel suddividerlo in una serie di compiti piccoli e facilmente gestibili, ciascuno dei quali era posto Sotto il controllo diretto di un responsabile. Probabilmente non si tratta di una coincidenza il fatto che, proprio nel periodo in cui ebbe inizio la costruzione delle piramidi, si siano manifestati i primi segni’ della creazione di un’efficiente amministrazione pubblica. Così, mentre il re e i suoi familiari mantenevano una posizione semidivina, ad affiancarli c’erano ora ministri scelti per le loro capacità, non per la loro nascita. Nell’introduzione abbiamo cercato di spiegare quale sia stata la forza che ha fatto sì che le diverse città-stato dell’Egitto predinastico si unissero formando un unico regno. E possibile che nel costruire le piramidi i faraoni dell’Antico Regno abbiano trovato un meccanismo adatto a rafforzare la recente unità del loro territorio.
Vita perduta dei Faraoni - Joyce Tyldesley