La cacciata di Mubarak potrebbe provocare una vittima in Egitto: l'economia di mercato e un ritorno a un'economia più statalista. Il primo ministro Essam Sharaf ha incontrato i businessmen egiziani per rassicurarli. «L'Egitto resterà un'economia di mercato ma garantendo una maggior giustizia sociale», dice il premier. Che vuol dire permettere la formazione di sindacati liberi e fare una riforma dei salari.
Novità che pur dirompenti potrebbero essere superate dalla locale Confindustria (Eba) guidata da Hussein Sabbour con 650 associati per un totale di 350mila dipendenti. Ma a preoccupare Sabbour è soprattutto la campagna di stampa orchestrata dai media locali contro la corruzione dove ogni imprenditore diventa un corrotto. «Ci sono imprenditori corrotti e imprenditori che hanno generato ricchezza per il paese e la comunità e attratto investimenti», dice al Daily News Egypt.
Anche i giovani imprenditori (EJBA) guidati da Amer Elwy hanno chiesto al governo di fare una campagna stampa di controinformazione per chiarire il ruolo importante degli imprenditori nella società ed evitare la caccia alle streghe dei "capitalisti corrotti" legati al vecchio regime. C'è ancora molta rabbia, troppo livore. Un raro turista americano mi racconta che la guida al Museo Egizio giunta al negozio del Museo dove si vendono i souvenirs li ha consigliati di non acquistare niente lì perché gli introiti di quel business vanno a una società legata al precedente ministro del Turismo. Meglio andare a comprare nei piccoli negozietti vicini al Museo dove si dà da mangiare alla gente che soffre. Piccoli episodi che danno l'idea di una società in fermento e in ribellione contro un sistema che bloccava qualsiasi inziativa privata senza appoggi politici.Eppure la tentatzione statalista si fa più forte nella società.
ECONOMIA IN GINOCCHIO. La situazione economica in Egitto non è delle migliori. La primavera araba ed egiziana del 25 gennaio ha lasciato una sensazione di precarieta. Chi va in questi giorni al Cairo assiste ancora a scontri violenti, manifestanti accampati nell'epicentro della rivolta, Piazza Tahrir, i copti in sit-in davanti al Palazzo Maspero, la tv di stato, carri armati per le strade piazzati nei punti strategici, la polizia (odiata dalla popolazione per il suo comportamento durante la rivolta) ancora assente dalle strade. Ma la maggioranza della gente è di nuovo al lavoro, il traffico è caotico come al solito, il museo egizio e le piramidi hanno riaperto mentre la Borsa è ancora chiusa dal 30 marzo (dopo aver perso il 20% in due giorni prima della chiusura) per timori di una tonfo e una massiccia fuga di capitali all'estero.
FRAGILITA'.La situazione economica comunque è molto fragile. Le riserve valutarie sono crollate a febbraio di 1,7 miliardi di dollari mentre il turismo è letteralmente in ginocchio. Naturalmente in questi frangenti sarà difficile per il maresciallo Hussein Tantawi capo dei militari che guidano la transizione del dopo Mubarak e per il primo ministro Essam Sharaf modernizzare in senso liberista l'economia, varare le privatizzazioni, tagliare l'elenfantiaco apparato burocratico (ci sono 500mila poliziatti nel paese su 87 milioni di abitanti) o eliminare i sussidi statali ai carburanti che pesano per il 5% del Pil.
PUNIRE I CAPITALISTI. Che fare? L'Eba , la Confindustria locale, teme che nel breve periodo, la tentazione sarà di "punire i capitalisti" mettendo sullo stesso piano i businessmen onesti e quelli che si sono arricchiti all'ombra di Mubarak, creando così un ambiente ostile agli investimenti stranieri e facendo scappare i capitali. Così l'Egitto perderà la vera partita che è quella di riformare la sua economia liberandola dai potentati e aprendola agli investitori internazionali.