«Certo, che erano orgogliosi del proprio lavoro», commenta Hawass. «E le spiego la ragione: non si trattava soltanto di erigere la tomba del re. Si trattava, nientemeno, di costruire l'Egitto. Era un progetto di proporzioni nazionali, che coinvolgeva il popolo intero. E le persone che troviamo in queste tombe facevano parte di quel progetto nazionale», aggiunge l'archeologo, fissando gli occhi sulla tomba ai suoi piedi. «Molti di loro tagliavano, trasportavano, lucidavano le pietre».
La squadra di Hawass, nel frattempo, ha rimosso i mattoni crudi e le pietre che coprivano, la tomba; il capo avvolto dai turbanti, un gruppetto inizia a spalare, la sabbia sottostante. Alle otto di mattina della primavera egiziana, il sole è già alto e rovente nel cielo pallido. Cerco un po' d'ombra dietro una mastaba, e osservo gli operai indifferenti al caldo, alla polvere, al sudore, uno dopo 1'altro si avvicinano alla tomba per calarvi un proprio secchia. Said Saleh, che sta là dentro a scavare, glielo restituisce pieno di terra i sabbiosa; poi, di nuovo uno dopo l'altro, gli uomini scendono per il pendio, e versano la sabbia su un cumulo, che due archeologi provvedono a setacciare. Le operazioni si susseguono uguali, ordinate, ritmate: gli operai scavano, caricano, scaricano.
Quasi fossero una versione in miniatura delle antiche squadre che spingevano, trainavano, posavano le pietre delle piramidi. Qualche minuto dopo spuntano frammenti scuri, ormai polverizzati, di quella che un tempo era una bara di legno. «È un fatto raro», dice Hawass. «Di solito questa gente era troppo povera per potersi permettere un lusso simile. Forse quest'uomo, o magari un suo conoscente, lavorava in una falegnameria». Sotto i frammenti di legno, Saleh scopre un cranio e le clavicole macchiati di marrone-giallastro per la decomposizione della bara, poi appare il resto dello scheletro. Secondo l'uso dell'epoca, è raccolto in posizione fetale, la faccia volta a Oriente, dove sorge il sole, e la sommità del cranio allineata a Nord, dove ogni notte lo spirito del faraone si levava a raggiungere le «imperiture» stelle circumpolari.
Con un pennello, delicatamente, Saleh spazzola via la terra dalle ossa; più tardi, un antropologo verrà a raccoglierle per esaminarle. Ad alcune ossa sono ancora attaccati frammenti di lino, segno che la salma era stata avvolta in un lenzuolo prima di essere deposta nella bara. «Era un'usanza dei più poveri, una sorta di i mummificazione simbolica», spiega Hawass.
All'estrema periferia del Cairo gli scavi hanno restituito un centro di produzione che riforniva di cibo e attrezzi gli operai di Giza. Alla sua sinistra si trova un cimitero scavato nella roccia; secondo Hawass, contiene le tombe dei costruttori delle piramidi.«Farsi imbalsamare era costoso, quasi nessuno poteva permettersi la spesa. Così si ricorreva a un sudario come questo, una specie di surrogato della mummificazione». A fianco dello scheletro, Saleh dissotterra un coltello ricurvo, in selce gialla, e lo porge a Hawass. «Anche ai più poveri venivano lasciati oggetti che potessero aiutarli nell'oltretomba» dice l'archeologo. «Forse quest'uomo usava un coltello del genere per tagliare la carne».
Molti vennero sepolti assieme a brocche di birra, continua Hawass, chinandosi a raccogliere uno di quei recipienti, un rozzo vaso di argilla rossa, dalla sommità di una tomba vicina. «La birra, ottenuta dall'orzo, era la loro bevanda quotidiana. Non volevano privarsene nemmeno nell'aldilà». Tuttavia, a differenza di altre mastaba già scavate, la 53 non è attrezzata per bevute ultraterrene.
Passando la terra al setaccio, affiora invece una manciata di minuscole perline di osso e di faience (una pasta silicea invetriata, impiegata per gioielli e amuleti). «Ah!», esclama Hawass, con un sorriso trionfante. «Stavolta 1'operaio è una donna. – Lo sapremo con certezza solo dopo l'esame delle ossa, ma penso che sia proprio così. Vede? Glielo avevo detto, tutti gli Egizi, uomini e donne parteciparono alla costruzione delle piramidi».
National Geographic Italia - 2001