Intorno alla capitale egiziana aumentano i quartieri residenziali con campi da golf e ville inespugnabili. Un’eredità dell’ex presidente Mubarak che mette a rischio la coesione sociale. - Alle sei del pomeriggio dell’11 febbraio la notizia della caduta del presidente Mubarak ha fatto irruzione tra la folla di piazza Tahrir. La piazza è esplosa e il centro del Cairo si è animato di tamburi. In quel momento striscioni e cartelli si sono fatti velocemente largo di fronte alle telecamere di tutto il mondo. Tra tanti slogan intelligenti, rabbiosi e trionfali ce n’era uno, in arabo, che balzava agli occhi: “Un chilo di carne costa 100 lire, ma un metro quadro di terra a Madinaty costa 50 centesimi”.
Per la maggior parte dei giornalisti che seguivano i festeggiamenti nella piazza centrale della capitale, queste parole non significavano niente. Ma per moltissimi egiziani vogliono dire tutto e rivelano il significato meno evidente di una rivoluzione che continua a scuotere questa regione. Lo striscione si riferiva alle città satellite, una valanga di colossali progetti di sviluppo urbano da diversi miliardi di dollari che stanno nascendo nel deserto intorno al Cairo. Su una delle terre più aride che si possano immaginare, spuntano campi da golf da 18 buche. Le gru usate per costruire gli uffici progettati da Zaha Hadid si affacciano su un nulla che si estende ininterrotto per centinaia di chilometri. L’abisso tra chi è ricco e chi non ha niente, spalancato a forza di tangenti, è espresso chiaramente da cemento e mattoni.
Per millequattrocento anni, la più grande metropoli dell’Africa e del Medio Oriente è cresciuta all’interno degli stessi angusti confini, formando uno degli spazi più densamente popolati della Terra. Negli ultimi dieci annj, all’ombra delle piramidi si sono ammassati venti milioni di persone - più degli abitanti di Libia, Libano e Giordania messi insieme — ostaggio di servizi pubblici sempre più carenti e private delle libertà politiche fondamentali. Il Cairo è chiamato dagli egiziani umm aldunya (madre del mondo) e nei secoli ha avuto un’enorme forza d’attrazione non solo sul resto dell’Egitto, ma anche su gran parte del mondo arabo. La città, inondata ogni giorno da nuovi migranti, nuove auto e nuovi edifici, con la sua inebriante anarchia dà l’impressione di tenersi insieme per miracolo.
Negli ultimi anni i confini fisici e psicologici del Cairo sono stati radicalmente ridisegnati, con profonde conseguenze politiche. In mezzo al deserto che circonda la capitale sono state innalzate delle colonne di cemento: sono l’inizio di un progetto il cui obiettivo è prendere il posto della stessa città che lo ha generato. Questa colata di cemento è opera dei più importanti imprenditori edili egiziani, sostenuti dal regimedi Mubarak, che ha venduto a un prezzo più basso di quello di mercato vaste aree di terreno pubblico. Il risultato è che oggi le città satellite deturpano il panorama del Sahara, rimodellando l’aspetto fisico della capitale e l’identità dei suoi cittadini.
I fautori del progetto delle città satellite considerano il deserto come un’opportunità per ricostruire la capitale da zero, nella speranza di liberarla dal traffico, dalla criminalità e dal caos, che secondo loro la stanno trascinando verso una decadenza irreversibile. Ma altri temono che da questo rimodellamento del Cairo molti saranno lasciati fuori, relegati dal lato sbagliato di un perimetro urbano che si snoda al ritmo della finanza straniera, delle ville di lusso e delle torridi guardia erette al di là di mura sempre più alte.
Negli anni e nei mesi che hanno portato alla rivoluzione, l’avidità degli squali della finanza egiziani ha fatto crescere la rabbia dell’opinione pubblica. Alcuni cittadini si sono rivolti ai tribunali per opporsi alla vendita dei terreni.
Queste iniziative hanno risvegliato l’interesse della gente, alimentando l’opposizione popolare all’idea delle città satellite. Un avvocato di Madinaty (il più importante progetto di sviluppo urbano del deserto, e il primo attaccato dagli attivisti che denunciano la corruzione) alla fine dell’anno scorso aveva affermato che il movimento di resistenza contro i suoi clienti avrebbe “aperto le porte dell’inferno”. Tre mesi dopo, le proteste di piazza dilagavano in tutto il paese.
“Potete chiamarle città satellite, ma non sono più satelliti”, aveva detto Adel Naguib, ex vicepresidente dell’authority per le nuove comunità urbane del Cairo. “Ora sono diventate dei pianeti”. Ecco allora la storia di questi pianeti, e di come hanno contribuito a scatenare una rivoluzione.