L’argomento è stato solo recentemente studiato, come si è accennato nell’introduzione, da P. van Minnen18, il quale ha cercato di sottolineare le peculiarità dell’evergetismo greco dopo essere stato impiantato in Egitto, nel quadro della nuova amministrazione tolemaica; il risultato che ne deriva mostra la rapida affermazione del fenomeno, soprattutto attraverso l’opera dei Tolomei, che amavano presentarsi alla popolazione come gli “evergeti per eccellenza”; la loro attività fu intensa e notevole, e le varie realizzazioni architettoniche a Dendera, Edfu, Kom Ombo, ecc., ne sono esempi magnifici, che hanno sfidato il tempo.
L’evergetismo regale dei Lagidi non era però un fenomeno del tutto originale per l’Egitto; essi, infatti, proponendo al paese il nuovo “sistema dell’evergesia” importato dalla Grecia, riprendevano, direttamente o indirettamente, un’antichissima tradizione faraonica: fin dalle dinastie più antiche, infatti, il faraone aveva praticato l’evergesia regale, fondando, costruendo, restaurando e sostenendo edifici e complessi religiosi e laici, nonché le popolazioni in occasione di pestilenze, guerre o carestie; ciò secondo un modus operandi che faceva rientrare le “azioni benefiche” tra i compiti del buon sovrano19.
La situazione cambiò quando i Lagidi dovettero confrontarsi con Roma: il periodo di difficoltà economica e la crisi politica, risvegliarono anche in Egitto l’iniziativa dei privati, di origine greca e spesso facenti parte dell’amministrazione provinciale: dai documenti in nostro possesso20, si può notare come essi si occuparono di sostenere le comunità e di finanziare il mantenimento o la ristrutturazione delle strutture pubbliche e dell’amministrazione; ciò anche fino al punto di assumere prerogative quasi regali, come mostra l’esempio dello stratega Kallimakos, funzionario di origine evidentemente graca che si preoccupa nel 39 a.C. circa di contrastare una carestia nella tebaide distribuendo grano fatto giungere da molto lontano21.


18 “Euergetism in graeco-roman Egypt” – Studia Hellenistica 36, pp.437-469.
19 Si vedano a proposito i vari “Insegnamenti morali” che gli egizi ci hanno tramandato fin dall’Antico Regno, ad esempio in BRESCIANI E., “Letteratura e poesia dell’antico Egitto”.
20 Si tratta soprattutto di epigrafi in lingua greca e materiale papiraceo; vd. P. VAN MINNEN, op. cit.
21 Per la vicenda si veda P. VAN MINNEN, op. cit., p. 444-445; il testo proviene da una stele centinata di granito nero mancante di una parte del lato sinistro e della base; al di sopra della superficie iscritta, nella zona della lunetta, si trovano incise due scene di adorazione, al dio Amon e al dio Montu, da parte della regina Cleopatra VII e di suo figlio Tolomeo detto “Cesarione”, in un secondo momento associato al trono come Tolomeo XV; le scene sono corredate da alcune iscrizioni geroglifiche. Rinvenuto nel sito di Deir el-Medina, il documento è stato successivamente acquisito dal Museo Egizio di Torino dov’è tuttora esposto (C. 1764). Misure: altezza 1,120, larghezza 0,650. Le scene di adorazione citate meritano alcune considerazioni: le figure di Cesarione e Cleopatra sono incise in maniera grossolana e secondo lo stile tipico del periodo tardo-tolemaico. Invece, lo stile con cui sono incise le due figure di Amon e Montu, richiama quello del periodo del Nuovo Regno (1552-1069 a.C.), e in particolare la fase della XIX o XX dinastia. La superficie sottostante la lunetta, inoltre, si presenta maggiormente ribassata rispetto alla lunetta stessa, come se un precedente testo (con ogni probabilità geroglifico) fosse stato cancellato per inserire il nuovo. Ci si trova pertanto di fronte al riutilizzo di un documento più antico – attraverso i confronti databile appunto alla XIX o XX dinastia – che è stato cancellato nella parte bassa per consentire l’inserimento dei nuovi testi, mentre la lunetta è stata rielaborata per inserire le immagini di Cleopatra e Cesarione, nel luogo che doveva ospitare due figure di faraoni o di privati in atto di fare offerte alle divinità. La superficie scrittoria, a causa della perdita di una parte del lato sinistro della stele e di un’importante abrasione che caratterizza la superficie del documento, si presenta in un cattivo stato di conservazione. Sono presenti due testi: nella parte superiore un testo demotico di 12 linee; sotto di esso un lungo testo in greco di 32 linee: questo, pur rispettando alcuni criteri di “impaginazione” tra le linee di scrittura, non presenta un ordinamento stoichedico delle lettere.La forma delle lettere riprende quella presente nel testo del decreto inciso sulla Stele di Rosetta (Lapis Rosettano). Un articolo su questo documento è in preparazione ad opera dello scrivente.