La ragione per cui Zahi Hawass è così occupato è che ha monopolizzato tutte le attività di pubbliche relazioni riguardanti l’archeologia. Sono più o meno 30000 le persone che gli fanno rapporto e circa 225 i team di archeologi che lavorano lungo il Nilo. Sono tutti tenuti con la museruola e nessuno di loro ha il permesso di riferire scoperte importanti senza l’approvazione ufficiale. Prima ognuno faceva le operazioni che voleva, “ma [ormai] quei giorni sono finiti”, dice Hawass.

Il fatto che egli si riservi il diritto di annunciare le scoperte non piace certo a tutti: diverse persone non credono che sia troppo interessato alla ricerca seria.

Il riferimento è, per esempio, alla stima di 10000 mummie nella cosiddetta Valle delle mummie d’oro a fronte delle sole 200 finora scoperte (recentemente ne sono state trovate alcune di età Romana); oppure all’erronea identificazione di una misera tomba nella Valle dei Re con quella di un faraone donna.

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Anche alcuni suoi scavi sono sembrati bizzarri. Per qualche tempo Hawass ha cercato il corpo di Cleopatra in un tempio vicino ad Alessandria. L’idea gli venne suggerita da un avvocato della Repubblica Dominicana. “Ne è sicuro?”, gli chiese un giornalista. “Totalmente, altrimenti non l’avrei neanche menzionato. Dopo tutto, non voglio mettermi in imbarazzo”, gli rispose lui.

Quando poi non venne trovato niente, l’anno scorso Hawass prese da un museo un busto di granito di Marco Antonio (l’amante di Cleopatra) e finse di averlo appena scavato dal terreno. Duncan Lees, un grafico che occasionalmente crea animazioni 3D di alcune tombe, in altre parole, una figura minore, lo chiama “uomo avido” (greed guy) e tiranno, uno che preferisce circondarsi di “leccapiedi”. Gli egittologi importanti, invece, sono più riservati e tendono a sussurrare le loro critiche. Non vogliono perdere le loro licenze.

Sono in molti ad aver aspettato il 28 maggio, data in cui il narcisistico archeologo ha compiuto 63 anni – normalmente, l’età della pensione. Ma invece di una cena d’addio, Hawass ha raggiunto una nuova posizione: il presidente Mubarak l’ha nominato vice ministro della cultura, ovvero potrà continuare a lavorare fino alla fine della sua vita.

Bisogna però dire che questo enigmatico personaggio non ha affatto solo tratti negativi. Ha veramente realizzato qualcosa. Con la sua frenetica attività di pubbliche relazioni e la sua sconfinata vanità, Hawass ha cambiato la consapevolezza dei quasi 80 milioni di egiziani e ha creato una nuova sensazione di orgoglio.

“Prima, per i piccoli contadini, il mondo ruotava intorno a Maometto e al Corano”, dice l’egittologo Christian Loeben. “Poi è arrivato Hawass, che è riuscito a convincere ogni fellah (la popolazione rurale) che i faraoni sono parte del loro patrimonio culturale. Io lo ammiro per questo”. Sono esattamente questi successi che stanno causando così tanti problemi ai musei di Parigi, Londra, New York e Berlino. È la tenace campagna vendicativa dell’auto-proclamato “guardiano” delle piramidi a farli tremare.

La disputa ha raggiunto un nuovo apice due mesi fa, quando Hawass tenne al Cairo la “Conference on International Cooperation for the Protection and Repatriation of Cultural Heritage“. I rappresentanti di 25 nazioni vi parteciparono per formare un fronte unito contro i paesi che sfruttano tutto il Mediterraneo e per cercare di far rimpatriare diverse opere d’arte.

Alla fine della conferenza, il padrone di casa presentò un elenco di richieste che includeva sei capolavori: il busto del “visir” Ankhaf dal Museum of Fine Arts di Boston; la Stele di Rosetta dal British Museum; il bassorilievo astrologico raffigurante uno zodiaco dal Louvre; il busto di Nefertiti dal Neues Museum di Berlino; la statua di Hemiunu dal museo di Hildesheim e la scultura di Ramses III (o Ramesse III) dal Museo egizio di Torino.

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