La trasfigurazione di Tutankhamon - Nel 1338 a.C., un corteo funebre penetra nella Valle dei re il cui accesso è sorvegliato da uomini, armati che non lasciano passare nessuno, all’infuori degli ufficiali accreditati. Alla testa del drappello incede Ay, un personaggio molto influente che porta il titolo di “padre divino”. È un alto funzionario, invecchiato sotto le armi, che era già in carica durante il regno di Akhenaton, «l’eretico», e ha conservato il suo rango e le sue prerogative anche dopo l’abbandono della nuova capitale, Akhetaton, ora deserta, e il ritorno della corte a Tebe dove l’ortodossia di Ammon [AMON - Divinità Egizia] regna nuovamente incontrastata.

Ay indossa una pelle di pantera, simbolo della funzione sacra che si appresta a officiare. Tutankhamon è appena morto e spetta a lui, il futuro faraone, presiedere ai funerali del giovane re diciassettenne, prematuramente scomparso. Tanto prematuramente che la sua «dimora eterna», la tomba, è ridotta all’espressione più semplice: pochi vani angusti in cui bisognerà riuscire a sistemare tutto il corredo funebre creato dagli artigiani reali.

Al termine della mummificazione, durata parecchie settimane, il corpo del faraone defunto è stato collocato in un sarcofago d’oro che, la mattina dei funerali, è stato issato su una barca per fargli attraversare il fiume e farlo passare così dalla riva est alla riva ovest. Una volta lì, è stato deposto su una treggia trainata dagli intimi del re, i grandi di corte, i membri del suo consiglio e i due visir, quello del Sud e quello del Nord, con il capo rasato. Penetrando nella piccola tomba, così poco degna di un sovrano, Ay pensa agli anni turbolenti che l’Egitto si è appena lasciato alle spalle. L’esperienza di Akhenaton è finita nel caos, ma fortunatamente senza alcuna guerra civile. Era stato quel giovinetto, Tutankhamon, ad assumersi con coraggio il difficile periodo di transizione in cui Ammone, il dio tebano rinnegato dall’adoratore di Aton, aveva riacquistato la sua potenza e il suo prestigio. Con l’aiuto di uno strano strumento di ferro celeste, una specie di piccola ascia, Ay apre la bocca e gli occhi alla statua di Tutankhamon. Da oggetto inanimato, essa diventa così il ricettacolo dell’anima, la dimora magica dell’essere immortale. Il faraone defunto si trasforma in un Osiride e accede all’eternità. La dea del cielo, Nut, dona alla sua anima l’energia necessaria per superare la prova della morte. Tutankamon, trasfigurato, sarà accolto dalla dea dell’Occidente, la misericordiosa Hathor, che metterà tra le sue labbra una nuova vita.

Terminato il rituale, Ay chiede al capomastro di sigillare per sempre la tomba, dissimulandone accuratamente l’ingresso, secondo la consuetudine della Valle dei re. Non può certo immaginare che quella sepoltura modesta è destinata a rimanere inviolata fino al 1922 e che la sua scoperta, avvenuta a un secolo esatto dalla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion, costituirà il più grande evento della storia dell’archeologia. Ci vorranno non meno di sei anni a Howard Carter e alla sua équipe per estrarre dalla tomba di Tutankhamon tutti i tesori che vi erano stati ammassati. Malgrado il disordine apparente, quegli oggetti destinati a una vita trasfigurata non erano disposti a caso. Ciascuno di essi esercitava una funzione simbolica e magica indispensabile alla sopravvivenza dell’essere reale. Ma per Ay, in quel giorno di lutto, essi evocano in maniera struggente la breve esistenza di un faraone che gli dei hanno strappato troppo presto al soggiorno terrestre. Nella tomba di Tutankhamon furono collocati ricordi commoventi della sua infanzia e due piccole bare che contenevano una ciocca di capelli della regina Tiy e una collana il cui ciondolo raffigurava il faraone Amenofi III accovacciato. (Questo tenderebbe a provare che sono i genitori di Tutankhamon, il quale sarebbe dunque stato fratello di Akhenaton. Ma questa ipotesi rimane controversa.)

Il futuro sovrano, da bambino, viveva nei palazzo reale di Teli el-Amarna dove Nefertiti si era occupata personalmente di lui. Allora portava il nome di «vivente simbolo di Aton», (uno dei significati possibili del nome «Tutankhaton») essendo, come Akhenaton, un fedele seguace di quel dio. In quel periodo felice e privo di preoccupazioni, il piccolo principe giocava nei giardini della reggia, riposando in padiglioni circondati da boschetti di acacie e sicomori, ascoltando il canto degli uccelli o divertendosi a guardare i pesci che guizzavano negli stagni, durante le sue frequenti e piacevoli gite in barca. Quei momenti spensierati sono evocati e resi immortali da un piccolo scranno d’ebano, intarsiato d’avorio, in cui si vede un’antilope intenta a giocare tra i fiori, da una seggiolina e da uno sgabello decorato con fiori di loto e di papiro, da una scatola di giocattoli e da un ricciolo di capelli racchiuso in un cofanetto.

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