All’età di nove anni, il futuro faraone era stato costretto a piegarsi al rituale di corte e al volere del Consiglio dei grandi che ne aveva decretato il matrimonio con una graziosa principessa sua coetanea. Akhenaton era appena morto e Tutankhaton, dopo la breve reggenza di un parente del sovrano defunto, era designato a succedergli. La giovanissima coppia è stata rappresentata su un grande trono dorato con i piedi a zampa di leone. I due sposi sono avvolti dai raggi benevoli del disco solare. La regina, in piedi accanto a un mazzo composto secondo le regole dell’arte floreale, tocca teneramente con la mano destra la spalla sinistra dello sposo. Si vede il re tendere la mano verso il serto offertogli dalla regina, vestita con un abito di lino aereo e trasparente. All’interno del naos rivestito d’oro, la regina rinnova l’offerta dei fiori al faraone seduto sul trono, ma stavolta si tratta di un atto puramente rituale, come sottolinea il testo geroglifico che accompagna la scena: “Che la vita sia data come luce divina”. La regina accarezza il giovane consorte e gli allaccia una collana.
Poi, seduta davanti a lui, con una corona di alte piume, gli tende la mano destra per ricevere un liquido profumato che il re dolcemente le versa sui palmo. Il re-bambino non aveva svaghi. Malgrado la giovane età, doveva conformarsi in tutto e per tutto al mestiere di sovrano. La cosa più urgente per lui era imparare a leggere e a scrivere in lingua geroglifica. Infatti il faraone è anzitutto un sapiente, un uomo di conoscenza, come sta a ricordare il necessario per scrivere presente nella tomba: un astuccio per i calami, un recipiente per l’acqua, un lisciatoio e due tavolette da scriba. Su una di esse c’è il nome «Tutankhaton», sull’altra «Tutankhamon». Questi oggetti modesti illustrano da soli la svolta essenziale che fece abbandonare ai re la sua posizione di adoratore di Aton per diventare un seguace di Amon, ritrovando l’ortodossia della XVIII dinastia. Questa circostanza dimostra che l’esperienza di Akhenaton era stata definitivamente abbandonata, come è confermato anche dai trono del re, su cui si trovano entrambi i nomi: Tutankhaton e Tutankhamon. Su quel superbo scranno ligneo, rivestito d’oro, sono raffigurati due serpenti alati, l’unione dei giglio e dei papiro, le corone dell’Alto e dei Basso Egitto, simboli protettori la cui funzione è provare che le Due Terre sono unite e che il giovane re governa un paese in cui regnano l’armonia e la pace.
Il passaggio da Tel el-Amarna, la città di Akhenaton, a Tebe avvenne in modo graduale. Una stele, in cui si vede il re adorare Amon-Ra nelle vesti di Tutankhaton, dimostra che il culto tradizionale di Ammone, il dio tebano, era stato reintrodotto nella stessa capitale di Akhenaton, un gesto che questo faraone non avrebbe mai autorizzato finché era in vita. Ma la città del sole era troppo impregnata della dottrina del suo fondatore: un re legittimo non poteva risiedere nella capitale dell’eresia.
Venne così il giorno del ritorno a Karnak, ribattezzata «Eliopoli del Sud», la quale si impose come capitale teologica dell’Egitto attraverso un riferimento all’antica città santa di Ra, un’incarnazione divina del sole diversa da Aton. Eppure la Karnak di Ammone non cancella la visione religiosa di Akhenaton e la sua esperienza spirituale, ma la supera inglobandola. E lì il giovane Tutankhamon, al quale viene imposto il nome di «La Luce divina è signora delle mutazioni», viene incoronato re in presenza degli alti dignitari del clero tebano. Come i suoi predecessori, «sale verso il tempio» dove verrà iniziato alla sua funzione di governo.
Lo scarto introdotto da Akhenaton rispetto alla linea dinastica legittima viene cancellato. Tel el-Amarna, la città di Aton, è condannata all’abbandono e all’oblio. Il nuovo faraone Tutankhamon concentra tutti i suoi sforzi, secondo la tradizione, nell’abbellimento del tempio di Amon. Fa scolpire statue del dio con la sua effigie, fondendosi cosi con lui in quanto principio immortale. Inoltre, si fa rappresentare come elemento centrale di una trinità, tra Amon e la sua sposa Mut (la Madre), con le mani delle due divinità posate sulle spalle. Al suo architetto, Tutankhamon chiede di costruire una via sacra fiancheggiata da cento sfingi di arenaria e destinata a collegare il decimo pilone del grande tempio di Ammone con il tempio di Karnak.
Il sovrano dodicenne è completamente immerso nel complesso universo del potere faraonico, in cui la funzione regale ha il ruolo di unire il cielo e la terra affinché l’umanità possa vivere in pace. Senza dubbio deve sopportare responsabilità più grandi di lui ed è schiacciato dalla molteplicità dei compiti da assolvere, ma è costantemente aiutato e sorvegliato da un Consiglio di anziani di cui Ay è il portavoce. Tuttavia è lui il faraone regnante e deve, in più di un’occasione, comportarsi come tale.
Proclama il ritorno alla Maat, la norma intangibile dell’armonia universale, e annuncia che restituirà ai templi i beni e le prerogative che Akhenaton aveva loro sottratto per attribuirli ad Aton. Prende in loro favore misure che nessun faraone aveva mai preso, restaura la gerarchia dei sacerdoti scegliendoli tra i figli dei grandi dignitari, le «persone dai nomi conosciuti». Per decreto reale, il sommo sacerdote di Ammone a Karnak ridiventa ufficialmente il superiore di tutto il clero egiziano. Al caos provocato da Akhenaton [Akhenaton e Nefertiti] subentra di nuovo l’ordine. Gli oltraggi inflitti dall’eretico alla religione ufficiale vengono cancellati e i profani sono scacciati dai luoghi santi in cui si erano introdotti. Il giovane re, la cui autorità è indiscussa, si impone anche nelle vesti di condottiero, come provano le armi da guerra, i carri, gli scudi e la cotta di ferro deposti nella sua tomba. Lui che ha aperto gli occhi per vedere Ra e le orecchie per udire le formule di trasmutazione pronunciate dal suo successore, Ay, possiede nel cuore e nelle braccia forza sufficiente per rovesciare i suoi nemici. Tra gli oggetti sacri che venivano usati in battaglia ci sono due piccole trombe, una d’argento e bronzo dorato, l’altra d’oro e bronzo. Nel padiglione d’oro di quest’ultima è inciso il segno del cielo, infatti entrambi gli strumenti sono destinati a produrre una musica celestiale, magica, capace di paralizzare le forze del male e di donare l’energia della vittoria alle tre divisioni dell’esercito egiziano consacrate rispettivamente a Ra e Ptah. Le trombe sono state utilizzate anche al momento dell’investitura del faraone quando quelle tre divinità gli hanno fatto dono della vita spirituale.
Accanto al viso della mummia reale, c’è un ventaglio di piume di struzzo, destinato ad assicurargli eternamente ombra e frescura, ma anche il soffio vitale indispensabile nei paradisi dell’aldilà. Di quel ventaglio, le cui piume reagivano alla minima vibrazione dell’aria, il giovane faraone si era servito quando era vivo, durante le sue battute di caccia nel deserto a est di Eliopoli. Ritto sul suo carro, tirava con l’arco senza mai mancare il bersaglio, come Horo, il dio che trafigge le tenebre con i suoi dardi di luce. Paragonato a una montagna d’oro che illumina le Due Terre, il giovane re aveva dimostrato la sua prestanza fisica anche nel maneggiare la spada, il bastone e il boomerang. Come ogni sovrano egiziano, infatti, egli incarna l’essere completo per eccellenza, perfetto nello spirito e nel corpo. Tutankhamon nonostante la giovane età, non sfugge alle esigenze del protocollo ed è tenuto a presiedere le cerimonie ufficiali. Così, seduto sul trono e rivestito delle insegne della sua funzione come i suoi illustri predecessori, riceve gli ambasciatori dei paesi stranieri venuti a portargli i loro tributi e a fare atto di vassallaggio. Il sovrano porta sul capo una corona azzurra e indossa un ampio abito di lino. E il viceré della Nubia, Huy, un alto funzionario dall’età venerabile, ad accompagnare al suo cospetto le delegazioni straniere, dall’abbigliamento variopinto. Huy ha ricevuto quell’incarico ufficiale da Tutankhamon che, per suggellarne la promozione, gli ha consegnato un anello d’oro. A riprova della sua riconoscenza, Huy ha voluto organizzare una cerimonia sontuosa in cui il giovane re potrà apprezzare quanto è grande il suo prestigio. I delegati nubiani, benché assimilati da anni, hanno conservato alcune particolarità divertenti agli occhi di un Egiziano: portano una piuma di struzzo infilata nei capelli e amano indossare ornamenti vistosi come collane massicce, bracciali ai polsi e anelli alle orecchie. Ciascuno di loro posa un ginocchio a terra di fronte al faraone, implorandolo di donargli il soffio vitale. Le loro offerte sono magnifiche: oro, pelli di giraffa e di pantera, spezie rare e persino grossi buoi con le corna ritualmente tagliate.
L'articolo su Tutankhamon continua alle pagine seguenti. Vedere gli articoli correlati per gli approfondimenti.