Al Festival di Cannes dello scorso anno lo hanno fischiato con ingeneroso snobismo. «Agorà» lancia una sfida ardita: parlare di scienza e di fede attraverso un peplum, un kolossal in costume, un genere che solitamente è solo zuppo di avventura, fantastoria ed epica tarocca. E invece no, «Agorà» merita attenzione e rispetto, perché pur obbedendo ai canoni dello spettacolone, affronta un tema controverso e anche una pagina di storia su cui solitamente si sorvola.
Fine del IV secolo dopo Cristo, Alessandria d'Egitto, città in cui convivono pagani, cristiani ed ebrei ed in cui si trova anche la famosa Biblioteca che è il cuore del sapere di tutto il mondo antico e anche sede di un cenacolo in cui spiccano la ricerca astronomica e la speculazione filosofca condotte della giovane Ipazia, donna aconfessionale e votata alla scienza. Una sorta di paradiso del pre-illuminismo intellettuale, finchè non si scatenano le faide religiose, tutti improntate al fondamentalismo. Prima i cristiani uccidono i pagani, poi questi ultimi si vendicano e una volta acquisite legittimità e maggioranza di culto, scaricano la loro violenza sugli ebrei che nel frattempo non erano stati a guardare e si erano macchiati delle loro colpe.
In questo gorgo di intolleranza finirà travolta anche Ipazia, vittima della campagna intransigente del clero alessandrino guidato dal vescovo Cirillo che si avvale del braccio armato costituito dai fanatici monaci parabalani, mentre i suoi compagni di studi si arrendono alle logiche del potere, per condivisione o impotenza. Alejandro Amenabar, che già si era fatto qualche nemico con il suo «Mare dentro» (per noi film memorabile) non sposa una tesi piuttosto che un'altra. Mette a nudo il fanatismo di ogni nuovo ordine impegnato a soffocare il libero pensiero, denuncia la perversione fratricida delle guerre di religione e l'assolutismo dei padri di tutte le chiese. È un conflitto del passato, ma che torna sempre di moda. Lo stile è magari un po' popolar-pamphlettistco, da serial televisivo medio-alto, quella Ipazia è un po' troppo suora laica martire virtuale, ma i contenuti sono solidi e non faziosi e il film, nonostante qualche rallentamento, non delude, prendendo le distanze dai pastrocchi hollywoodiani. Il ruolo di Ipazia è affidato alla sensibilità di Rachel Weisz, già Oscar per «The Constant Gardener».NI DO.
«Agorà» di Alejandro Amenabar con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac (Spagna, 2009).
Brescia Oggi - 26-04-2010