La Striscia di Gaza torna a essere l'epicentro del conflitto israelo palestinese. È di almeno quattro morti, nove feriti e sei dispersi - tutti palestinesi - il bilancio della nuova incursione aerea israeliana che oggi ha colpito la parte meridionale del territorio, nei pressi di Rafah, a ridosso del confine con l'Egitto.

Lo hanno riferito fonti mediche locali, secondo cui sono tuttora in corso le ricerche delle sei persone mancanti all'appello, che si teme siano rimaste intrappolate all'interno di un tunnel sotterraneo - uno dei tanti che passano al di sotto della frontiera con l'Egitto - fatto crollare dalle bombe. In Israele un portavoce dell'esercito ha confermato il raid, precisando che si è trattato di una rappresaglia, dopo l'ennesimo attacco dei palestinesi con razzi e mortai contro il territorio dello stato ebraico. Lo scoppio di un proiettile aveva ferito in modo lieve un soldato in servizio di pattuglia. La stessa portavoce ha sottolineato che il bombardamento ha preso di mira in particolare uno dei cunicoli facenti parte della rete estesa a cavallo della frontiera tra Gaza e il Sinai egiziano, attraverso i quali - secondo Israele - passano, oltre i rifornimenti di cibo e medicinali, anche forniture clandestine di armi destinate alle "milizie estremiste".

Ma il raid di questa mattina non è un episodio isolato. Ieri, nella parte settentrionale della Striscia due palestinesi sono finiti sotto il fuoco israeliano, mentre stavano avvicinandosi alla recinzione di confine: uno è morto, l'altro ha subito lesioni. Per ritorsione sono state sparate almeno tre salve di mortaio, una delle quali ha colpito un militare israeliano. Lo scontro è stato minimizzato come "un fatto circoscritto" dalla televisione israeliana. I lanci di colpi di mortai e di razzi contro il sud di Israele dalla Striscia di Gaza sono divenuti una costante dopo che Hamas ha assunto il controllo del territorio in seguito al colpo di mano del giugno 2007 con il quale ha estromesso i rivali di Al Fatah. Fermare questi lanci è stata una delle motivazioni addotte da Israele per lanciare l'offensiva (criminale n.d.r) militare Piombo Fuso tra la fine di dicembre e il 18 gennaio scorsi, con un bilancio finale compreso fra 1.200 e 1.400 palestinesi uccisi (in larghissima maggioranza civili e bambini).

Nel frattempo, inizia oggi la missione diplomatica del premier israeliano Benjamin Netanyahu in Europa. Annunciata da spiragli distensivi, ma anche da nuove tensioni diplomatiche (inclusa la crisi con la Svezia, presidente di turno dell'Ue, in seguito alla pubblicazione di un articolo considerato antisemita su un giornale di Stoccolma), la visita prevede almeno tre momenti chiave. L'incontro di oggi con il primo ministro britannico, Gordon Brown, quello di giovedì con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il faccia a faccia di Londra con George Mitchell, inviato speciale del presidente americano, Barack Obama, in Medio Oriente. Le attese riguardano le prospettive di rilancio del negoziato israelo palestinese, che l'Amministrazione Obama ha condizionato negli ultimi mesi al blocco totale dei piani d'espansione delle colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

Capo di un Governo a maggioranza di destra, Netanyahu ha finora evitato di promettere un congelamento totale delle colonie, limitandosi a parlare di un blocco temporaneo per alcune aree della Cisgiordania, ma non per Gerusalemme est, e continuando a sottolineare la necessità di preservare la "crescita naturale" degli insediamenti già esistenti. Il premier israeliano, comunque, arriva a Londra sullo sfondo dell'apertura di un qualche iniziale spiraglio di possibile compromesso. "Il primo ministro prevede un certo grado di progressi, ma non una svolta", ha puntualizzato ieri alla partenza da Tel Aviv il portavoce Nir Hefetz, notando che quello con Mitchell "non sarà l'ultimo" colloquio preparatorio prima di settembre, quando gli Stati Uniti presenteranno un nuovo piano di pace.

Hefetz ha sottolineato che il leader israeliano - il quale ieri aveva ventilato la possibilità di un incontro con il leader palestinese Abu Mazen per fine settembre, a margine dei lavori dell'assemblea generale dell'Onu - non ritiene verosimile una ripresa vera e propria dei negoziati "se non entro due mesi". Il premier - ha detto Hefetz - "confermerà con chiarezza che Israele non intende subire alcuna limitazione o restrizione alla sua sovranità su Gerusalemme e che vuole garanzie affinché i coloni possano avere una vita normale". Come a dire che ogni ipotetico congelamento non riguarderà Gerusalemme est e dovrà prevedere eccezioni pure in Cisgiordania, per quei progetti edilizi già avviati da Israele in nome della "crescita naturale" degli insediamenti esistenti (300.000 abitanti a oggi in Cisgiordania, oltre 200.000 a Gerusalemme est).

Posizioni che rappresentano una risposta solo parziale alle sollecitazioni della comunità internazionale. E non sono accettabili per l'Autorità palestinese di Abu Mazen. "Qualsiasi cosa in meno degli obblighi della Road Map - ha avvertito da Ramallah il portavoce palestinese Nabil Abu Rudeina - non basterà a farci tornare al tavolo dei negoziati".

L'Osservatore Romano