Quando i Krasnals, artisti polacchi di strada alla maniera di Banksy e JR, l’avevano incontrata, lo scorso anno al Neues Museum di Berlino per un’intervista in esclusiva, si era dimostrata in perfetta sintonia con i tempi: «Voglio tornare in Egitto, voglio essere vicina al mio popolo». Dunque, sapeva, nonostante l’esilio dorato (ma forzato) nelle stanze che un’archistar come David Chipperfield aveva ridisegnato per lei nel 2009, della Primavera araba.
E sembrava persino appoggiarla. D’altra parte difficile ignorare la modernità quando ti passano davanti, ogni anno, almeno mezzo milione di persone ammirate, conquistate, incantate da quel tuo profilo senza tempo. Anche per questo gli stessi Krasnals («gli gnomi») avevano deciso di immortalarla in un ritratto (in bianco e nero, stencil su tela) molto contemporaneo e con tanto di slogan politico: «Vi prego, riportatemi in Egitto». Ulteriore accenno alla perenne contesa tra la sua terra d’origine e quella che l’aveva accolta. La stessa Germania che ora si appresta a celebrare, con una grande mostra che si inaugura il 7 dicembre (fino al 19 aprile 2013) proprio al Neues Museum di Berlino, i cento anni della sua scoperta, avvenuta il 6 dicembre 1912 nella città imperiale di Amarna, oggi conosciuta come Tell el-Amarna.
Il fascino, violento e moderno, di Nefertiti sta anche nella capacità di resistere alla irriverente rivisitazione contemporanea messa in scena dai Krasnals. Come nella trasformazione del busto di una regina moglie del Faraone Akhenaton in un simbolo della Germania con relativo francobollo da un pfenning. Certo l’estetica aiuta: visto che quel capolavoro assoluto della scultura egizia, nonostante fosse vecchio di 3400 anni, è stato sempre considerato, «un modernissimo modello di bellezza femminile». Persino fin troppo anticipatore. Tanto che nel 2010 uno studioso svizzero, Henri Stierlin, aveva pubblicato un libro (dal titolo Il busto di Nefertiti: una farsa dell’egittologia, Infolio, pp. 136, e 18) definendo proprio quel busto «una volgare copia art déco creata nel 1912». Non certo da attribuire a Thoutmès, massimo scultore della XVIII dinastia, ma piuttosto a Gerard Marks, anonimo artista tedesco all’epoca chiamato dall’archeologo Ludwig Borchardt per realizzare un busto-ritratto della moglie di Akhenaton (1390-1352 a.C.) con i pigmenti ritrovati nella tomba di Amarna. Il risultato, entusiasmante già all’epoca (sempre secondo Stierlin) avrebbe indotto al silenzio Borchardt e i suoi compagni di scavo. E chissà se la mostra di Berlino potrà fare definitiva chiarezza (documenti alla mano) sulle modalità di un ritrovamento «lacunoso» e su uno «stato di conservazione» fin troppo perfetto.
Ma in fondo poco importa che, per i detrattori, Nefertiti potesse avere le spalle tagliate troppo in verticale rispetto alla tradizione e che certe imperfezioni del profilo fossero dovute a successivi ritocchi. Il mistero fa aumentare il fascino (d’altra parte, c’è chi assicura che la Gioconda non sia altro che un uomo). Molto più interessante, invece, è ricordare che nel 2003, alla Biennale d’arte di Venezia, due artisti polacchi (Andras Galik e Mathias Balik riuniti sotto lo pseudonimo Little Warsaw), abbiano messo in piedi nel padiglione dell’Ungheria, Il Corpo di Nefertiti, installazione- video che documentava il ricongiungimento del busto della Neues di Berlino con un corpo di bronzo a grandezza naturale, un ricongiungimento durato poche ore (nella giornata del 26 maggio 2003) che avrebbe scatenato polemiche furiose, soprattutto in Egitto. Ma perché proprio Nefertiti? «Perché con il nostro lavoro vogliamo creare spiazzamento e allora quale miglior modo di giocare con un’opera simbolo come Nefertiti — avevano all’epoca dichiarato Galik e Balik responsabili nel 2005 di un riadattamento trent’anni dopo di un progetto dell’artista concettuale Thomas St. Auby? Non volevamo essere irrispettosi, ma solo ribadire il contatto che da sempre lega antichità e contemporaneità».
Una ulteriore prova della modernità di Nefertiti arriva, a pochi giorni dal centesimo anniversario del ritrovamento che la casa editrice Hatje Cantz celebra con un volume dal titolo Gli infiniti volti di Nefertiti, dalla mostra che l’artista berlinese Isa Gentzken (le quotazioni per un suo collage oscillano oggi tra le 120 e le 280 mila sterline) che alla Hauser & Wirth Gallery di Londra ha appena inaugurato (fino al 12 gennaio 2013) una mostra di sculture che a sua volta anticipa la grande retrospettiva che il Moma di New York le dedicherà nella primavera 2013. Tra queste sculture (oltre a quelle che richiamano a Michael Jackson, Donald Duck e Joseph Beuys) ben sei sono dedicate appunto a Nefertiti. L’artista ha confessato di essere stata colpita da quel busto quando ancora bambina (la Gentzken è nata nel 1948) l’aveva visto per la prima volta nelle stanze del Neues Museum ancora non restaurato da Chipperfield. Ora queste sue emozioni si sono tradotte secondo il suo stile giocoso e irriverente in sei copie in gesso (ognuna delle quali abbellita con un paio di occhiali da sole molto trendy) collocate su altrettanti piedistalli bianchi, alla base dei quali occhieggiano le riproduzioni (fotografiche) di un altro simbolo di bellezza eterna come la Gioconda di Leonardo. Il tutto per testimoniare «il valore e l’importanza della donna nell’arte».
Intanto l’Arab Museum of Modern Art di Doha (il Mathaf) ha appena lanciato Tea with Nefertiti, mostra evento (fino al 31 marzo 2013) che vuole esplorare, in ottanta capolavori, il fascino esercitato dall’antico Egitto sulla modernità di van Dongen, Giacometti, Klee eModigliani. E tanto per ribadire ulteriormente la modernità di questo fascino mette in campo, guarda caso, ancora una volta il fascino, nemmeno tanto indiscreto, della regina Nefertiti.
Stefano Bucci - Corriere della Sera