L'egittologo Christian Greco 39 anniI cervelli in fuga a volte ritornano. Christian Greco ne è l'esempio: vicentino di Arzignano, 39 anni, è appena stato nominato direttore del Museo Egizio di Torino, lui che ha trascorso gli ultimi 15 anni della sua vita a Leiden, in Olanda, dove ha conseguito la seconda laurea in Egittologia (dopo la prima in lettere classiche al prestigioso collegio Ghislieri di Pavia) e dove attualmente insegna all'università Egyptian e Archaelogy of Nubia and Sudan.

In contemporanea è curatore nella stessa città di una delle collezioni egizie più importanti d'Europa, quella del Museo delle Antichità. Impressionante il suo curriculum, nonostante la giovane età, che gli ha permesso di sbaragliare altri 101 aspiranti alla direzione del secondo museo al mondo dedicato all'Egitto antico (il primo è quello del Cairo). Greco ha all'attivo una trentina di pubblicazioni ed è stato in Egitto così tante volte, dal 2001, per missioni di scavo che, racconta, «ho dovuto rifare il passaporto perché non ci stavano più i visti».

Se l'aspettava, la nomina?
È stata una sorpresa perché è un posto cui tutti gli egittologi italiani ambiscono. Ma avendo saputo che c'erano oltre cento domande, mi ero convinto di avere minime chances. Quando sono stato chiamato per il colloquio individuale, che non mi aspettavo, mi sono rinfrancato. Fin da subito si è creato feeling positivo con la commissione. Credo che sia stato il momento decisivo.

Come vede il «suo» Museo Egizio?
È il secondo museo al mondo, lo vedo ritornare al centro del podio internazionale, punto di dialogo, di confronto e di ricerca per quanto concerne l'egittologia. Sta crescendo per numero di visitatori ma il museo non è una teca che espone reperti: è vivo. Gli oggetti hanno memoria storica, hanno molto da raccontare. I tanti ritrovamenti devono saper parlare al pubblico tramite i curatori. Se al visitatore si dà l'impressione che il museo è un ente vivo, in continua trasformazione, lui si legherà e ritornerà. Ma vedo anche un museo che rivesta un importante ruolo scientifico e che potrà partecipare a richieste di finanziamenti nazionali e internazionali, portando così a casa risorse enormi.

Lei è giovane: pensa che anche nel suo campo si stia operando un cambio generazionale?
Sì, ci sono molti giovani. A Pisa e Milano ci sono due docenti universitari giovani, così come esistono giovani ricercatori. La situazione è molto dinamica, senza contare che c'è una rete di giovani egittologi che lavorano con successo all'estero e che portano il loro contributo alla disciplina. Vorrei che il museo potesse diventare un centro di coordinamento di queste importanti ricerche.

Lei è un caso di «cervello in fuga» che ritorna.
Mi piacerebbe che questa nomina fosse un simbolo, un messaggio per chi è fuori dall'Italia che, magari, fa esperienza all'estero e poi ritorna, mettendola a disposizione del proprio Paese.

Attualmente ci sono problemi per le missioni di scavo in Egitto?
Ho dovuto rimandare la mia missione a Saqqara, a nord del Paese, perché le autorità ci hanno consigliato di non rischiare. Però so che al sud non ci sono problemi e quindi a Luxor le campagne continuano