È positivo il bilancio della sedicesima missione comasca al tempio di Amenhotep II. Si consolida il ponte tra l’Egitto e il Lario. È infatti positivo il bilancio della sedicesima missione italiana di scavo presso l’area del tempio di Amenhotep II a Tebe Ovest. L’ultima campagna archeologica, condotta dal Centro di Egittologia “Francesco Ballerini” di Como sull’area della struttura templare del faraone noto alla storia per la sua forza fuori dal comune e per la sua grandissima crudeltà, ha dato buoni frutti, nonostante il frangente politico egiziano particolarmente difficile.

 

«Si è deciso di non fare una missione archeologica completa – spiega Angelo Sesana, egittologo e presidente del sodalizio lariano – perché la situazione in Egitto era ed è tuttora complicata. Il nostro scopo era quello di dimostrare che non abbiamo trascurato l’Egitto, così, se pur solo in tre, siamo partiti».

E la missione del professor Sesana e dei suoi due compagni di viaggio, Anna Consonni e Tommaso Quirino, ha permesso di approfondire le conoscenze dell’area che, se pur con metodi sbrigativi tipici del periodo storico, era già stata sommariamente indagata dall’archeologo inglese Sir Flinders Petrie dell’University College di Londra alla fine dell’800. «Ci eravamo proposti di arrivare ai piedi della montagna per indagare il sito – prosegue il professor Angelo Sesana – in quanto questo, prima della costruzione del tempio, era già occupato da una necropoli. Di fatto quest’anno abbiamo studiato la parte Sud della struttura con tutto ciò che era annesso. Si è proceduto nel documentare le unità stratigrafiche, che hanno dimostrato come l’area abbia avuto usi precedenti e seguenti la costruzione del tempio. La zona, infatti, nonostante la distruzione dell’edificio non si sa per quali eventi, non fu mai abbandonata e sono visibili tracce di un incendio e di una successiva riutilizzazione».

Nei dettagli sono state rinvenute piastrelle in mattone crudo, testimonianza della pavimentazione, strutture di combustione, nonché elementi di cucina, che indicano come lo spazio fosse stato occupato da case in epoca più recente. I reperti venuti alla luce si sono rivelati preziosi ai fini della datazione e tra questi spiccano un’anfora dipinta della fine del regno di Amenhotep II, utilizzata come materiale di riempimento, perline, elementi decorativi di collane ed ostraka, che testimoniano come si scrivesse addirittura su semplici sassi. Anche le ceramiche sono fondamentali per una precisa ricostruzione cronologica. Gli studi si sono concentrati su una tomba scavata nel 2008 e attribuibile al Medio Regno. «A permetterne una datazione – spiega Anna Consonni, ricercatrice del Centro Ballerini di Como - sono i materiali ceramici. Notevole è la quantità di ceramiche intere di ottima fattura, circa 350 sono i vasi rinvenuti, alcuni da corredo, cioè deposti assieme al defunto per la sua cura personale o per il suo mantenimento nell’aldilà, altri rituali davvero interessanti, perché non è molto frequente trovarli in situ». «Preziosi - prosegue la studiosa lariana - anche uno specchio di rame con il manico d’avorio, uno spillone sempre in avorio, un contenitore per trucchi con manico conformato a testa d’anatra, alcuni vasetti in alabastro, collane, bracciali di perline e amuleti appartenenti anch’essi al corredo funebre». Gli studi del Centro di Egittologia Ballerini, però, oltre a fornire valide conoscenze archeologiche del mondo egizio, ci permettono anche di avere maggiori informazioni culturali, comportamentali e sociali, grazie allo studio delle cosiddette fonti bioarcheologiche.

«Queste fonti – spiega la ricercatrice Giovanna Bellandi – consentono di ricostruire pratiche funerarie, malattie, usi o caratteri somatici degli individui. E nello specifico le indagini sono state condotte sugli scheletri della tomba numero 17». Sorprendenti sono le scoperte, anche in questo caso specifico. «Vi sono individui con anemie croniche – sottolinea la studiosa lariana – dovute a parassitosi o con denti che presentano ipoplasia dello smalto. Grazie a ciò si può saperne di più, ad esempio, su abitudini alimentari o malattie».

Insomma, nonostante la sedicesima non sia stata una missione archeologica completa, i risultati non sono mancati e ci si auspica non finiranno. Infatti, «ripulendo la struttura superiore dell’area, è emerso un taglio nel conglomerato, che potrebbe essere un’ulteriore sepoltura da chiarire – chiosa il professor Angelo Sesana esprimendo fiducia nel futuro della ricerca archeologica lariana in terra d’Egitto – in una prossima missione».

Cristina Fontana - Corriere di Como