La notizia della scoperta di alcune monete egiziane raffiguranti il nome e l’immagine di Giuseppe, figlio di Giacobbe, e custodite tra i reperti non ancora classificati presso il Museo d’Egitto del Cairo, ha sollevato le riserve di due archeologi evangelici.

Il professor Steven Ortiz, docente di archeologia e contesti biblici del Southwestern Baptis Theological Seminary di Fort Worth in Texas, ha spiegato che gli esperti dovranno riconsiderare l’intero rapporto e le immagini dei reperti per riuscire a presentare un giudizio sui manufatti in questione. Il professore crede che questi reperti siano articoli di gioielleria o amuleti e sottolinea che le prime informazioni diffuse cercano un riferimento nei versi del Corano che citano monete collegate alla figura di Giuseppe senza basarsi su uno studio completo degli oggetti. Il primo articolo sull’argomento è apparso sul giornale “Al Ahram” del Cairo, mentre successivamente è comparso un pezzo sul “Jerusalem Post” che dipende dalla traduzione che il Middle East Media Research Institute ha fatto dell’articolo originale. Il “Jerusalem Post” ha dichiarato che l’importanza della scoperta risiede nel fatto che i ricercatori hanno scoperto una prova scientifica che contraddice la tesi proposta da alcuni storici secondo i quali nell’antico Egitto le monete non venivano impiegate nel commercio, che avveniva per mezzo del baratto.

A quanto dice il Middle East Media Research Institute, in un primo tempo si pensava che i reperti fossero amuleti, ma grazie a uno studio più approfondito si è scoperto che i manufatti recano il loro valore e l’anno nel quale vennero coniati. Inoltre, l’esame ha rivelato che alcune monete risalgono all’epoca della permanenza in Egitto di Giuseppe e recano la sua immagine e il suo nome.

Questa scoperta ha portato gli esperti a cercare nel Corano i versi che parlano di monete utilizzate nell’antico Egitto. Lo studioso dell’Università di Memphis, Robert Griffin, esperto di storia egiziana, ha affermato di non poter esprimere una valutazione completa senza vedere i reperti o prendere in esame la relazione dei ricercatori e si è dichiarato contrario alla divulgazione della scoperta. Lo studioso ha spiegato di essere scettico poiché l’interpretazione dei manufatti in questione come monete risulta molto soggettiva.

L’articolo uscito su “Al Ahram” riporta che le monete risalgono a periodi diversi e che tra di esse ve ne sono alcune che recano segni diversi e sono databili all’epoca di Giuseppe. Tra di esse ve n’è una che reca un’iscrizione e l’immagine di una mucca, che rammenta il sogno del faraone delle sette mucche magre e delle sette mucche grasse. Robert Griffin spiega che una delle più popolari divinità mitologiche egiziane era Hathor, raffigurata da una mucca oppure da una donna con indosso una corona cornuta. L’esperto sostiene che questa divinità era conosciuta molto bene negli ultimi anni del Regno Medio e del Secondo Periodo Intermedio, periodo che coincide con quello del soggiorno di Giuseppe.

Il giornale “Al Ahram” ha riportato che su questa moneta compaiono i caratteri geroglifici che corrispondono al nome di Giuseppe, scritto sia in ebraico sia in egiziano. Griffin pensa che sarebbe interessante visionare in prima persona l’iscrizione della moneta che i ricercatori fanno corrispondere ai nomi di Giuseppe.

Considerando quanto si conosce per ora, Griffin dichiara che avrebbe avuto alcune perplessità nell’affermare che gli oggetti in questione costituiscano una testimonianza inequivocabile del soggiorno di Giuseppe in Egitto.

http://www.archart.it - Martina Calogero