Scritto da Hotepibre per Aton-Ra.com - contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

"La frusta sibilò nell’aria come un lungo serpente ed il suo morso doloroso si abbatté inesorabilmente sulla schiena nuda; dalla ferita aperta il sangue sgorgò rosso mescolandosi ai fiumi di sudore che, sotto quel cielo rovente, scorrevano a dimostrazione della sua condizione di schiavo addetto al trasporto degli immani macigni che, soprapposti, avrebbero dimostrato agli Dei la magnificenza del re per il quale si stava costruendo quella montagna di pietra…"

Le piramidi di Giza No! …un momento, “montagna di pietra”, “immani macigni”, “cielo rovente”, ma qui si parla della costruzione di una piramide e allora… cosa c’entra la frusta, la schiena piagata, la schiavitù?

“Ma tutti sanno che le piramidi furono costruite da moltitudini di schiavi…”
Bene, ma se “tutti sanno”, qualcuno dovrà pur averlo detto e se ci poniamo questa domanda la risposta più reale è “lo hanno detto gli antichi viaggiatori greci”, ma quegli antichi viaggiatori ammiravano piramidi che avevano già più di duemila anni quando le visitarono, e dei metodi di costruzione, e delle maestranze che vi avevano proceduto, si era ormai perso ogni ricordo.

Del resto, tutti siamo abituati a trattare un qualsiasi argomento in base alle nostre conoscenze e se in Grecia i lavori più umili e faticosi erano appannaggio quasi esclusivo degli schiavi, chi mai avrebbe potuto mettere macigno su macigno per raggiungere quelle impensabili altezze se non “manovali” costretti, loro malgrado, a fatiche inumane?

Ecco che l’immaginario collettivo, tramandatosi poi nei millenni, accreditò agli “schiavi” quel perfetto lavoro; e già qui ci sarebbe di che porsi una prima domanda: se il lavoro era “perfetto” poteva essere stato eseguito da personale non tecnicamente valido? …ed è ipotizzabile che i lavoratori fossero brutalmente trattati e debilitati quando dovevano sostenere pesi di varie tonnellate?

Siamo nell’Antico Regno [Antico Regno (2778-2220 CA. A.C.)], quasi nel 3000 a.C., e le Due Terre (questo uno dei nomi con cui gli abitanti chiamavano il vastissimo territorio che abitavano) cominciavano appena a diventare una sola nazione. Forse c’erano volute guerre, sicuramente cruenti combattimenti, ma poi un Re illuminato era riuscito nell’intento di unificare il paese. E così la dea cobra Uadjit, protettrice del nord del paese, si era unita alla dea avvoltoio Nekhbet, protettrice del sud in una entità politica “unica”, il Kemet, la Terra Nera… quello che noi, oggi, chiamiamo Egitto!

La tavoletta di Narmer Una eco di quelle guerre possiamo solo immaginarla nella testa della mazza da guerra del Re Scorpione o, ancor più, nella tavoletta di un altro mitico Re: Menes/Narmer. Come noto, infatti, proprio questa “tavoletta” viene considerata la prima prova dell’avvenuta unificazione del Paese e Menes/Narmer il primo Re della prima Dinastia.

Su una delle facce, il Re, che indossa la corona del Sud, tiene per i capelli un personaggio che ha inequivocabilmente i tratti somatici di un abitante del Nord e sta per colpirlo con una mazza da guerra.

Ma sul retro della stessa tavoletta, lo stesso Re indossa la corona del Nord, è preceduto da portastendardi dei “Nomi” (le Provincie) vittoriosi, e partecipa ad una cerimonia altrettanto inequivocabilmente di trionfo. “Abbiamo fatto l’Italia, si tratta adesso di fare gli italiani”, scriverà qualche millennio dopo Massimo D’Azeglio, ma lo stesso problema deve esserselo posto anche la classe dirigente del nuovo paese unificato se è vero che, per giungere a quella unificazione, era stata necessaria davvero una guerra.

Molte teorie sono state prodotte, e vengono ogni giorno avanzate, sul perché e, specialmente, sul “come” siano state costruite le piramidi. Tralasciando quelle più fantasiose che tirano in ballo omini verdi e alieni, ritengo che l’ipotesi più verosimile possa derivare proprio da quel bisogno di coesione che era ormai necessaria se si voleva davvero creare un Paese unitario.

In tal senso, una ottima ipotesi venne avanzata, negli anni ’60 del ‘900, da Kurt Mendelssohn che nulla aveva a che fare, essendo un fisico, con l’egittologia. Partendo proprio dagli stessi presupposti cui ho sopra accennato, Mendelssohn ipotizzò, infatti che le piramidi fossero state un ottimo “aggregante” per popolazioni così differenti e che, magari, parlavano addirittura differenti lingue.

Partendo dalla divinità del Re, cui nulla poteva perciò essere negato, Mendelssohn ritiene che, in un apparente momento di megalomania che in realtà nascondeva una lungimirante capacità politica, possa anche essere stato imposto alla popolazione di costruire qualcosa che li avrebbe costretti per anni ed anni a vivere l’uno accanto all’altro favorendo così la centralizzazione dello Stato e la nascita di “una popolazione”. Non è un caso, inoltre, che le piramidi più famose e grandi risalgano proprio alle prime Dinastie, quando maggiormente impellente era proprio questo bisogno. A questo si aggiunga che, per almeno quattro mesi all’anno, le terre erano invase dalle acque dell’inondazione nilotica e, pertanto, era impossibile svolgere qualsiasi attività; perché, perciò, non creare delle vere e proprie “corvée”, ovvero prestazioni di lavoro obbligatorio e regolato da turni, che avrebbero ottenuto anche l’effetto collaterale di garantire il mantenimento delle famiglie con i proventi del lavoro dacché, sia ben chiaro, quegli “operai specializzati” che lavorarono alle piramidi (per la piramide di Keope si calcolano 10 anni e circa diecimila operai) erano regolarmente pagati in natura e beni, come dimostrano, peraltro, i “registri” ancora esistenti. Del resto, anche l’onnipresente Erodoto, aldilà delle esagerazioni e dicerie raccolte (non dimentichiamo che quando scrive sono ormai passati quasi 3000 anni), scriverà che, per costruire la piramide di Keope “ogni trimestre lavoravano a turno 100.000 uomini”.

Piramide naturale Successivamente, forse, dimenticato il motivo “reale”, si continuò a ritenere necessaria la costruzione delle piramidi, ma si assisterà ad una progressiva diminuzione di dimensioni e di qualità sino a giungere, con il Nuovo Regno (quasi 1500 anni dopo), al totale oblio della motivazione socio-economica tanto che se è vero che verrà scelta la Valle dei Re come luogo di sepoltura dei Faraoni, di fatto si continuerà a far sottostare le tombe alla protezione comunque di una “piramide”; ma in questo caso si tratterà di “Colei che Ama il Silenzio”, Meret-Seger, la montagna a forma di “piramide” che sovrasta la Valle oggi nota come El-Qurna.

Ma torniamo agli “schiavi”, esistevano? Sicuramente si, gli egizi li chiamavano “morti vivi”, ma erano quasi esclusivamente prigionieri di guerra o condannati (raramente persone che “vendevano” se stesse per periodi comunque limititati) ed il loro numero doveva decisamente essere molto esiguo. Per inciso, esistevano regole molto severe per i “padroni” che li maltrattavano ed erano inoltre titolari di diritti e potevano avere proprietà e sposare addirittura membri della famiglia presso cui lavoravano.

Nel c.d. “Papiro dell'Adozione” si legge: “Comprammo la schiava Dienihatiri che mise al mondo tre figli, un maschio e due femmine. Io li ho adottati, nutriti ed educati, e fino al giorno di oggi essi non mi hanno mai arrecato danno; al contrario, mi hanno trattato bene, e io non ho altri figli né figlie che loro.[...] Ecco, io li ho liberati , e se ella mette al mondo un figlio o una figlia, essi saranno liberi”.

A riprova di quel che ho scritto all’inizio di questo articolo, a proposito della concezione che avevano i greci della schiavitù, si consideri che una vera e propria “tratta degli schiavi” si avrà solo a partire dalla dinastia macedone dei Tolomei.

Hotepibre, è autore di diversi scritti sull'antico Egitto e ha pubblicato un ottimo romanzo sulla morte del faraone Tutankhamon. [Clicca qui per leggere alcuni estratti del romanzo e per maggiori informazioni sull'Autore.]