NARMER (MENES) - E' considerato il fondatore della prima dinastia e l'unificatore dell'Egitto: sulla famosa tavoletta il Faraone viene infatti ritratto con le due corone dell'Alto e del Basso Egitto. A parte la barba, il faraone è ritratto esattamente allo stesso modo di tutti i suoi successori dei tremila anni successivi, ovvero con il classico perizoma e con la coda di toro.
La Tavoletta è di difficile interpretazione ma certamente vuole significare la vittoria del Faraone sui popoli nemici (Libi ?) o su alcune tribù ribelli. Inolte le due diverse corone e i due leoni vogliono rappresentare l'unità dei Due Paesi sotto un'unico sovrano. Va detto tuttavia che esistono molte incertezze anche sul nome di Narmer [La Paletta di Narmer] che in alcuni documenti viene indicato come Menes e sulla datazione di inizio della prima dinasira, databile approssimatamente tra il 3200 e il 3000 ac.
MENES E LA NASCITA DELLA NAZIONE
Brano tratto dall'ottimo libro L'Egitto dei Grandi Faraoni: di Christian Jacq - Edizioni Oscar Mondadori
L'epoca detta " predinastica" volge al termine. Tutt'a un tratto, il numero dei siti abitati aumenta consìderevolmente. Il paese è in fermento e si trasforma. Non sappiamo se si sia verificato un afflusso di popolazioni dall'esterno, ma si può forse ipotizzare che nomadi provenienti dalle zone desertiche dell'Est e dell'Ovest si siano stabiliti in Egitto.
Si verifica allora un fatto fondamentale: le Due Terre, l'Alto e il Basso Egitto, si riuniscono sotto un solo sovrano. Nasce così la nazione egizia. L'informazione, di capitale importanza, ci è fornita dalla tavola votiva del re Narmer, ritrovata sul sito di Ieracompoli. Alta sessantatré centimetri, essa costituisce per così dire un oggetto-cerniera tra due epoche: il tipo di supporto, lo stile, la concezione appartengono infatti ancora al periodo predinastico, mentre i temi rappresentati ci parlano già della I dinastia.
La tavola, di scisto verde, è decorata su entrambi i lati con scene ordinate su tre registri. Alla sommità, due teste di vacca simboleggiano la dea Hathor, divinità cosmica il cui nome significa "dimora di Horo". Poiché Horo era il nome con cui di norma si identificava il faraone, il re rappresentato sul monumento si pone in questo modo sotto la protezione divina e celeste.
L'annuncio dell'unificazione delle due parti del territorio egiziano è dato in modo semplice e chiaro: sul davanti, il sovrano compare con la corona bianca dell'Alto Egitto, mentre sul retro porta la corona rossa del Basso Egitto. E' il primo faraone a regnare sul Sud e sul Nord. L'Egitto delle dinastie fa quindi il suo ingresso nella storia.
Nella scena principale sulla superficie anteriore della tavola, Narmer, il cui nome è inscritto in un rettangolo fra le due teste di vacca, sta per colpire la testa del nemico sconfitto. Rappresentato in proporzioni maggiori rispetto agli altri personaggi, tiene in mano una mazza bianca.
La sua immagine ieratica esprime grande nobiltà, potenza e dignità. Il re porta la barba posticcia e, avvolto attorno ai fianchi, un perizoma da cerimonia da cui pende una coda di toro; è scalzo, ma dietro di lui un dignitario, la cui statura è circa un terzo della sua, gli regge i sandali: nelle epoche antiche, il sandalo era infatti considerato un oggetto di lusso che non doveva sporcarsi con la polvere della strada. Lo scultore ha insistito sulla potente muscolatura di Narmer e sulla sua calma assoluta. Nell'atto rituale compiuto dal primo faraone non c'è traccia di sadismo né di violenza bestiale: obbedendo all'ordine degli dei, egli sottomette colui che si ribella all'armonia del mondo. E stato il dio falco a proteggere il faraone e a permettergli di trionfare affinché l'Egitto viva in pace.
Nel registro superiore del retro della tavola, il re, con la corona rossa in capo, si dirige verso un campo di battaglia dove sono allineati in bell'ordine i corpi dei nemici decapitati e in catene. Il registro mediano presenta invece una scena fantastica: due uomini barbuti reggono una corda che lega due animali dai possenti colli incrociati. L'interpretazione dell'egittologo inglese Gardiner, per il quale la raffigurazione simboleggerebbe l'unione del Doppio Paese, il Nord e il Sud, ci sembra ampiamente condivisibile. Nel registro inferiore, infine, un potente toro abbatte le mura merlate di una città, mentre il nemico si contorce di dolore sotto gli zoccoli dell'animale: un ulteriore simbolo di Narmer vincitore, sufficientemente potente da sottomettere le località che gli hanno opposto resistenza.
Il significato globale è chiaro. Riprendendo l'opera del re Scorpione, Narmer l'ha portata alla sua logica conclusione. Una volta consolidato il proprio potere sul Sud, egli può esercitare la sovranità su tutto l'Egitto. Ma si pone un problema: le liste reali, invero, si aprono tutte con un faraone di nome Menes, e non con Narmer. L'unificazione, l'instaurazione in terra egiziana di una cultura nuova e originale rispetto a quelle precedenti, vengono infatti attribuite a lui. In una scena sorprendente del Ramesseo, il tempio funerario tebano di Ramses II, è rappresentata una processione di sacerdoti durante una festa religiosa. Ciascuno di loro porta sulle spalle l'immagine di un re; fra questi sovrani figura anche l'enigmatico Menes, di cui evidentemente si conservava il ricordo.<br />
Dopo lunghi dibattiti, oggi si concorda sul fatto che probabilmente Menes e Narmer sono la stessa persona. Primo monarca umano, Menes succedette agli dei e ai semidei che avevano regnato per millenni sul paese. Il suo nome ci fornisce parecchi elementi interessanti. In egiziano, Menes è Mni, cioè "colui che resta", "colui che è presente", "colui che perdura". Menes è quindi il faraone "duraturo", la radice immortale da cui nascerà l'immenso albero delle dinastie. Philippe Derchain lo interpreta invece come il re "qualcuno", il faraone impersonale.
E' probabile che sia questa la ragione per cui l'invenzione della scrittura è stata attribuita a Menes, fatto storicamente inesatto, ma carico di un profondo significato religioso. La scrittura geroglifica, infatti, è strumento di cultura per eccellenza. Anche Menes il Duraturo rimarrà per l'Egitto la figura simbolica della prima età della prosperità e della gloria del paese.
La fama di Menes il fondatore è ampiamente giustificata: egli infatti fece sorgere una capitale la cui importanza non verrà mai meno nella storia egizia. Secondo Manetone ed Erodoto, Menes decise di dotare il paese di una città degna del nuovo Stato che si trovava a dirigere. La scelta del luogo fu dettata da chiare ragioni politiche, dal momento che Menfi - in egiziano, "la bilancia delle Due Terre" - venne costruita alla base del Delta, nel punto strategico che segna una sorta di frontiera fra il Basso e l'Alto Egitto.
Una città, per gli antichi egizi, è innanzi tutto un centro religioso, un luogo di culto dal quale si sviluppa un'intensa attività economica. Menes trasformò un antico villaggio in cui si adorava il dio Ptah, uno dei patroni degli artigiani, in una città definita "vita delle Due Terre", un insieme di edifici stabili e perfetti nella loro bellezza. E possibile che lo stesso nome "Egitto" derivi dall'egiziano hut ka Ptah, "regno del ka del dio Ptah" (il nome del grande tempio di Menfi), che in greco divenne Aiyguptos. Esiste anche una tradizione secondo la quale il figlio di Menes avrebbe fatto costruire un palazzo a Menfi che avrebbe chiamato per aa, "grande dimora", da cui deriverebbe il termine "faraone".
Ma come dobbiamo immaginarci questa prima capitale, il capolavoro di Menes? Sicuramente era costituita da case in mattone crudo. Le dimore, grandi o piccole che fossero, avevano tutte un giardino ed erano organizzate attorno a un atrio da cui si accedeva agli appartamenti privati. Menfi era costruita sulla riva occidentale del Nilo, non lontano dal fiume, ed era circondata da campi fertili e da palmeti. Città bianca, con strade ombreggiate dalla vegetazione, era protetta dalle piene del Nilo da una grande diga.
Una simile creazione presuppone un alto grado di civiltà. Menes aveva infatti formato un corpo di artigiani reali dalle eccezionali competenze nel campo dell'architettura e della scultura. Il capo religioso degli artigiani rimarrà sempre il grande sacerdote di Ptah, dio cui venne dedicato un grande tempio a Menfi. Nella regione, il culto di Menes verrà celebrato a lungo.
La stessa città di Menfi è un immenso simbolo sacro. Secondo le concezioni egizie, la nascita della vita sulla terra, nel momento della creazione del mondo, si era concretizzata nell'apparizione di una collinetta primordiale emersa dalle acque. Menes venne quindi assimilato al dio che fa sorgere la vita sotto forma di tale collinetta, la quale altro non era che Menfi, la capitale. Si può infatti supporre che gli operai reali, prima di scavare le fondamenta della città, abbiano dovuto prosciugare una zona piuttosto paludosa. Anche nella tradizione greca si trova una leggenda simile: Menes avrebbe creato Crocodilopoli, la capitale del Fayum, una città sorta dalle acque.
A partire dalla I dinastia, Menfi si afferma come centro politico e religioso, poiché è lì che vengono consacrati i re. Come Menes, ogni nuovo re porta la doppia corona, in quanto faraone dell'Alto e del Basso Egitto. L'unione delle Due Terre è il principio di base del governo del paese. Ogni volta che si verrà meno a tale principio, l'Egitto conoscerà periodi di decadenza.
Menes è un grande amministratore. Divide il paese in province che vengono chiamate "nomi"; il geroglifico che le rappresenta è un rettangolo quadrettato, cioè un terreno percorso dai canali d'irrigazione.
Il nomo è un'entità amministrativa, geografica ed economica (si veda l'apposita sezione), ma anche religiosa. Il nomarca è infatti anche il grande sacerdote del dio adorato nella sua provincia. Un'interessantissima lista di nomi incisa nel tempio di Edfu, nell'Alto Egitto, e risalente all'epoca tolemaica (oltre duemilacinquecento anni dopo Menes) specifica quanto c'è da sapere su ciascun nomo. Si tratta di una sorta di manuale teologico-politico di cui ogni tempio doveva possedere una copia. Chi vuole essere informato su un nomo deve sapere qual è il suo nome e quello della capitale, quali reliquie vi sono conservate, quali divinità vi vengono adorate, quali sono i suoi luoghi di culto e i suoi templi, chi sono i principali responsabili del culto, deve conoscere i titoli sacri dei sacerdoti e delle sacerdotesse, i nomi della barca sacra e del suo specchio d'acqua, i nomi degli alberi sacri, le date delle feste, le liste dei divieti e dei tabù e infine i nomi dei canali e dei territori agricoli.
E difficile pronunciarsi sul numero dei nomi creati da Menes/Narmer. Durante l'Antico Regno, l'Egitto ne comprendeva i trentotto o trentanove. Nell'Epoca Tarda, essi, in teoria, erano quarantadue e corrispondevano ai quarantadue giudici del tribunale di Osiride che decideva del destino ultraterreno. Nel corso del tempo si assistette quindi a variazioni nella suddivisione del territorio. L'organizzazione amministrativa si rivelava semplice ed efficace, purché si disponesse di nomarchi responsabili e competenti: gli ordini partivano dal palazzo reale, per arrivare alle capitali regionali, le quali li estendevano alle città minori, ai villaggi e alle campagne. Appoggiandosi a un tale sistema, Menes poté procedere al censimento della popolazione e al rilevamento delle terre coltivabili.
Il Delta costituisce un problema particolare. In quasi tutte le opere di egittologia si legge che questa parte dell'Egitto non ci ha lasciato testimonianze archeologiche perché il terreno umido della regione non ne avrebbe permesso la conservazione. Ma il Delta di oggi, con i suoi campi, i suoi alberi, i suoi villaggi e i suoi numerosi canali, non era evidentemente quello di Menes. In quell'epoca remota, la regione era probabilmente soltanto un'immensa distesa d'acqua coperta di abbondante vegetazione, dove si cacciava e si pescava. Non esisteva zona costiera dotata di porti che, ancora diversi secoli dopo, saranno soltanto porti fluviali situati all'interno del Delta. Si può quindi supporre che le "città" di cui si fa menzione nei documenti egizi, come Buto o Busiri, fossero soltanto santuari, siti sacri in cui ci si recava in occasione di certe feste, e non veri e propri centri abitati. Tale ipotesi rimette in discussione l'esistenza di un regno del Basso Egitto simile, per agglomerati e densità di popolazione, a quello dell'Alto Egitto. Le vittorie dei re del Sud sul Nord si ridurrebbero allora a un'annessione relativamente facile di tribù stanziate in luoghi piuttosto selvaggi, a un'opera di civilizzazione più che a una conquista guerriera.
Durante il regno di Menes, il paese si equipaggia: viene costituito un corpo di artigiani, sorgono granai gestiti dall'amministrazione centrale, si allestiscono cantieri navali, si costruiscono templi e l'agricoltura e l'allevamento vengono organizzati in modo strutturato. Un elemento caratteristico va messo subito in luce: tutto appartiene al re, perché la terra d'Egitto è interamente sua. Egli l'ha ereditata dagli dei stessi ed è da loro incaricato di assicurarne la prosperità. Non esiste quindi proprietà privata, benché il faraone possa offrire appezzamenti di terra più o meno consistenti a coloro che l'hanno fedelmente servito: nasceranno così le proprietà terriere dei grandi dignitari che, come avviene per il re, verranno ritenuti responsabili dello stato dei loro beni.
L'economia egizia è religiosa. La circolazione dei beni è infatti assicurata dal tempio. Tutto inizia con l'offerta agli dei, senza i quali il paese sprofonderebbe nell'anarchia e nella miseria. Una volta appagati gli dei, si può provvedere ai bisogni degli uomini ripartendo debitamente le ricchezze. I raccolti sono controllati severamente dagli scribi, poiché una parte dei cereali deve confluire nei granai della capitale, dove viene conservata per essere distribuita in caso di carestia. I campi sono recintati con cura. La "terra nera" è generosa: produce diversi cereali, molti tipi di verdure - fra cui lenticchie, piselli, porri e cipolle - e numero-si frutti, quali datteri, fichi e uva. Per zuccherare si usa il miele. Il bestiame è abbondante: si contano parecchie razze bovine e i cortili sono popolati da oche e anatre. Il contadino egizio ama la sua terra. La sua non è una vita facile, il lavoro è piuttosto duro, ma durante il periodo della piena può concedersi un lungo riposo. Mentre il Nilo ricopre l'Egitto, lui resta a casa. La sua prosperità, come quella dei suoi compatrioti, è legata al benefico straripamento del Nilo e al suo intelligente sfruttamento.
In questo campo, Menes continua e perfeziona i lavori iniziati dallo Scorpione. Egli sa che l'irrigazione è vitale per l'Egitto: senza di questa, i doni del Nilo sarebbero inutili. Creando un forte potere centrale, egli può avviare una serie di grandi opere nel paese. I nomarchi sono incaricati di mettere in pratica nelle loro province i piani tracciati dagli ingegneri del re. In parecchi punti chiave del corso del Nilo vengono installati nilometri, che permettono di registrare, ogni anno, il livello raggiunto dalla piena: sulla base di tali osservazioni, sarà possibile fare previsioni in vista di un'adeguata distribuzione delle acque. Piene troppo abbondanti o al di sotto della media costituiscono infatti vere e proprie catastrofi naturali ed economiche contro le quali bisogna premunirsi. Nelle liste reali, fra gli eventi salienti del regno, vengono riportati anche i dati relativi al livello delle piene.
In tutto l'Egitto, si costruiscono dighe e si scavano canali. Si colmano le depressioni del terreno e si livellano le collinette alluvionali. Gli isolotti che punteggiano il corso del fiume vengono coltivati. Inoltre, con un notevole senso "ecologico", vengono mantenute parecchie zone paludose per la caccia, la pesca e la conservazione di specie ritenute indispensabili. Creare non basta: perché l'apporto di limo venga sfruttato al massimo, bisogna fare una continua manutenzione ai canali e ai bacini di irrigazione.
La vita economica e spirituale dell'Egitto si basa sulla costruzione dei templi, edificati da artigiani che sicuramente Menes organizzò in collegi di Stato. La materia prima non manca, che si tratti di pietra, legno o metalli. Vengono aperte cave attorno a Menfi e forse anche in zone desertiche. Nell'Egitto di Menes, gli alberi non mancano: palme, persee, salici, acacie, tamarindi, sicomori forniscono tutti legno che può essere lavorato. Presto si organizzano spedizioni commerciali in Libano, alla ricerca del famoso cedro, e in Siria, per procurarsi i cipressi. Il rame abbonda e viene utilizzato per fabbricare armi e utensili; il bronzo diventerà materiale d'uso corrente solo durante il Medio Regno; il ferro - di origine meteoritica o di altra provenienza - è raro. Menes viene considerato l'inventore del lusso, o quanto meno del comfort. La leggenda doveva avere un qualche fondamento reale, in un paese in cui si sapevano fabbricare sedie e casse di legno, cofanetti da toilette, vasetti per il profumo e il belletto, gioielli, indumenti semplici e indovinati come i perizomi per gli uomini e le lunghe tuniche aderenti per le donne. Il materiale del re, cioè il papiro, permette di registrare la scrittura su una superficie maneggevole e facile da archiviare.
Sull'esercito e la giustizia siamo poco informati. È sicuro che esistesse un esercito, dal momento che Menes poté conquistare il Nord. Il suo capo supremo era il faraone in persona. Egli era anche il giudice per eccellenza, che applicava un corpus di leggi non scritte. E probabile che ogni nomo disponesse di un tribunale e di un diritto consuetudinario che poteva essere diverso da quello del nomo vicino. Ma quello della giurisprudenza resta un campo piuttosto oscuro, di cui si sa solo una cosa con certezza: nell'antico Egitto non esisteva la schiavitù. Contrariamente a quanto è accaduto in Grecia e a Roma, in Egitto non sono mai esistiti individui totalmente privi di diritti e considerati al pari di oggetti o bestie. Quelli che alcuni storici dell'Egitto hanno definito impropriamente "schiavi", invero, potevano possedere terre e gestire le proprie aziende agricole dopo avere lavorato come braccianti nelle grandi proprietà terriere. Si può parlare di condizione servile, ma assolutamente non di schiavitù, il che costituisce uno dei maggiori titoli di merito della civiltà faraonica.
Non si sa nulla di certo sulla morte di Menes. Una leggenda narra che il re, inseguito dai suoi cani nei pressi del lago Meride, fosse costretto a entrare in acqua, dove venne salvato da un coccodrillo. Ma il racconto ha valore simbolico, poiché il dio di quella regione era Sobek, dalla testa di coccodrillo. Si dice anche che il primo faraone sia stato ucciso da un ippopotamo, forse durante una caccia, e che sia morto a sessantadue anni.
Altri fatti non verificati riguardano la famiglia di Menes. La sua sposa avrebbe inventato un'efficace lozione per capelli, mentre il figlio Athoti, medico, sarebbe succeduto al padre prima di essere assassinato. Le fonti di tali pettegolezzi, come di tanti altri sui vari faraoni che incontreremo più avanti, sono greche. Ciò che è certo è che il figlio di Menes ha ingrandito o addirittura costruito ex novo un palazzo reale a Menfi e che apparteneva alla casta sacerdotale.
Le prime due dinastie proseguirono l'opera di Menes. Alla fine della II dinastia, l'Egitto si afferma come una nazione coerente le cui ricchezze continuano ad aumentare. Il paese è dotato di una capitale, di un'amministrazione e di corporazioni professionali. L'istituzione della regalità è ormai salda. E tutto pronto per un nuovo balzo in avanti.
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