La cultura dell'antico Egitto ebbe un ruolo primario nella storia intellettuale ebraica. E, più tardi, anche in quella occidentale. Se non altro perché — scrive Jan Assmann, professore emerito di egittologia all'Università di Heidelberg — il monoteismo biblico nacque in contrasto e in contrapposizione con il politeismo egiziano (e mesopotamico).
Anche se nel mondo egizio non mancò un certo concetto del Dio sovrano in forma «di monoteismo inclusivo che vede Dio in tutti gli dei»; Dio come forza presente in ogni dio individuale. Ben altro, comunque, da Jhwh: «Io sono». Lo studioso afferma, introducendo il saggio Dio e gli dei, Egitto, Israele e la nascita del monoteismo, edito dal Mulino, che la stessa Bibbia assegna all'Egitto un'importanza predominante rispetto alla Mesopotamia, «raccontando e rievocando la diffusione del monoteismo fra i figli d'Israele come la storia del loro esodo dall'Egitto. Nella memoria biblica è l'Egitto, non la Mesopotamia, a giocare il ruolo dell'altro che deve essere abbandonato per poter abbracciare la nuova religione».
Questa linea di pensiero ha indotto Assmann a scrivere addirittura, in precedenza, il saggio Mosè l'egizio, aggiornato nel suo ultimo lavoro in cui puntualizza anche la tesi sostenuta da Sigmund Freud nel libro Mosè e il monoteismo. In esso l'illustre medico austriaco, padre della psicoanalisi, «ricostruisce le origini del monoteismo con un'interpretazione terapeutica», trattando il monoteismo «come una nevrosi compulsiva collettiva».
Il ricco testo di Assmann costituisce un'ottima anticipazione del saggio — pure edito dal Mulino nella collana «I Comandamenti» — Io sono il Signore Dio tuo, articolato in due contributi: il primo di Piero Coda, preside dell'istituto Sophia di Loppiano (Firenze), dove insegna teologia; il secondo di Massimo Cacciari, docente di filosofia all'Università San Raffaele.
Il comandamento «Io sono il Signore Dio tuo» è la prima e fondamentale prescrizione della legge mosaica. Esso apre il Decalogo e non può essere comparato con gli altri nove. Da tale comandamento ne discendono subito almeno due, come immediata conseguenza: «Non ti farai idolo né immagine», «Non nominare il nome di Dio invano». Piero Coda, nel contributo intitolato «Questo Dio per la libertà», scrive che Jhwh si è rivelato a Mosè come l'unico solo Dio, venerato anche da altri popoli senza conoscerlo, «attribuendogli nomi diversi e non di rado confondendolo con gli idoli». Egli resta nascosto, quindi alle altre genti, non al popolo d'Israele con il quale stabilisce un patto di alleanza. Jhwh non è estraneo alla storia dell'uomo con il quale è in costante relazione. Irrompe nella vicenda umana con sguardo d'amore, diventando sorgente di libertà e di giustizia.
A partire dal racconto biblico si è poi andato sviluppando il concetto sempre più universale di Dio, affermato da san Paolo: «Per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto viene e noi siamo lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui».
«L'esperienza del Dio Uno, per la fede cristiana, passa per Gesù. Il che significa che passa per gli uomini, in quanto raccolti nell'umanità crocifissa e risorta col Figlio che si è fatto carne unendosi così, sino all'abisso d'identificazione dell'abbandono con ogni uomo», scrive ancora il teologo Coda. E aggiunge: «Da ciò deriva che il concetto di monoteismo va ripensato ab imis già in riferimento all'evento di rivelazione di Jhwh nell'Antico Testamento». MASSIMO CACCIARI, nel secondo saggio intitolato «Il pensiero più alto», afferma che oggi credere, è credere in un Dio Uno. La rappresentazione del divino, «articolata in una molteplicità di dominii e di figure — il politeismo pagano — che sempre ricordano la loro originaria lotta per la supremazia, per quanto possano attualmente strutturarsi in un ordine gerarchico, ci appare ormai testimonianza di un passato irripetibile, capace al più di esercitare un fascino antiquario-letterario, privo di qualsiasi valore religioso e filosofico».
Jhwh libera e guida gli ebrei dall'uscita dell'Egitto. Ma è lo stesso El Shaddaj apparso ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe che non si fa conoscere come Jhwh. «El Shaddaj è il Signore della steppa, l'aiuto, lo scudo e la guida del nomade. Grazie alla sua presenza le tribù d'Israele hanno potuto resistere e moltiplicarsi nella morsa dei grandi imperi d'Egitto e Mesopotamia». Ma sul Sinai il Signore dei padri decide di rivelarsi a Mosè come l'Onnipotente. «Tutta la forza della sua divinità si sprigiona ed esalta nel Nome impronunciabile». È una manifestazione che Mosè comprende immediatamente. Ed è pronto a rispondere: «Eccomi». Non chiede il Suo nome per usarlo magicamente. «Il segreto nel Nome divino permane inafferrabile e ineffabile. Pretendere di conoscere il Nome per impadronirsi della sua potenza sarebbe superstizione idolatrica; credere, poi, di poter disporre del segno del Tetragramma per farsi immagine del Signore è bestemmia. Jhwh significa "non ti farai immagine", "non lo pronuncerai invano", anzi: "non tentare invano di pronunciarlo". Mosé non chiede a Dio di svelarsi». Ma non gli può bastare l'affermazione «Io sono l'Elohim, di tuo padre» per poter condurre il suo popolo sull'unica via verso Canaan. «L'Alleanza va rinnovata sulla radice di una Legge scritta dal dito di Dio». Tuttavia la lotta di Mosé potrà avere successo «soltanto se Dio vorrà rivelare tutta la potenza del proprio Nome». Jhwh rassicura il profeta: «Io sono colui che vi libera, Io sono colui che vi guida, Io sono Chi vi detta i precetti, senza di cui vi disperderete tra i popoli. Il mio essere è presenza viva, e la mia presenza è azione».
Attilio Mazza - Brescia Oggi
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